Il business del proibizionismo

ago 29, 2011 0 comments

Di Dario Silvestri

Il proibizionismo non è solo una forma mentis, un modo più o meno ipocrita di intendere la libertà altrui. E’ anche, e soprattutto, un sistema affaristico, un preciso modo di concepire l’economia. Che si contrappone al libero mercato ma ne è allo stesso tempo la forma più estrema. Un mercato selvaggio e anarchico. E molto più redditizio. Prima di tutto per gli spacciatori e per la criminalità organizzata che gestisce il traffico della droga, cui viene lasciato un potere illimitato di decidere prezzo, qualità, e offerta. Ma non è solo la malavita a lucrare sul proibizionismo e sullo stato di cose presente. Altrimenti non si spiegherebbe perché non vengano adottate politiche alternative. La situazione che ci troviamo davanti agli occhi è infatti quella di una giungla, dove imperversano le mafie, e in cui il cittadino/consumatore è lasciato solo in balìa della criminalità e esposto alle ritorsioni della legge.
Depenalizzare le droghe leggere significherebbe infierire un colpo decisivo alle organizzazioni criminali, tutelare la salute del cittadino, magari sottoponendo le sostanze al controllo medico, e allo stesso tempo ridurre il consumo. L’Olanda, che dagli anni ’70 attua politiche di questo genere vanta ad oggi una fra le percentuali più basse al mondo di consumo abituale di cannabis (9,5% contro l’20,9% dell’Italia e il 21,5% degli USA). Mantenendo il mercato nero, inoltre, lo Stato rinuncia agli introiti che gli deriverebbero dalla tassazione delle sostanze; senza contare i costi, stimati intorno ai 40 miliardi di euro l’anno, per il mantenimento delle politiche proibizioniste, perlopiù gravanti sul Ministero della Giustizia. Delegare alle associazioni criminali il controllo di una così ampia fetta di mercato, quella della droga, seconda per profitto solo a quella delle armi e del petrolio, non solo è politicamente poco lungimirante e economicamente fallimentare. E’ soprattutto complice. Lo stato favorisce deliberatamente le mafie e i narcotrafficanti internazionali, che con il denaro degli stupefacenti finanziano prostituzione, traffico di armi ed esseri umani.


Viene spontaneo chiedersi: se è così conveniente, perchè non si legalizza? Di più, perché non si è già legalizzato? Pensare che i politici rinuncino a possibili ricchi introiti per pure ragioni ideali appare in effetti un po’ irrealistico. Soprattutto se pensiamo alla spregiudicatezza, alla protervia con cui questa classe politica dà ogni giorno prova della sua fame di posti e prebende. Se le classi dirigenti rinunciano ai profitti dell’antiproibizionismo è perché il proibizionismo paga. Pensiamo alle sanzioni, salatissime, in cui incorrono i consumatori anche occasionali di droghe, e all’introito costante che garantiscono alle casse dello stato. Pensiamo alla miriade di enti, i cosiddetti “corpi intermedi”, che
guadagnano dalla politica proibizionista, come i SerT privati e i vari centri di recupero, che con la Fini-Giovanardi hanno visto aggiungersi alla lista di potenziali clienti migliaia di consumatori occasionali di marijuana. E pensiamo soprattutto al denaro delle narcomafie custodito nelle banche di tutto il mondo. Con l’avvento dell’antiproibizionismo molte di queste si troverebbero a dover fronteggiare un crack finanziario non indifferente.
Dunque la politica, vuoi per sottostare alle pressioni di gruppi economici, vuoi per banale clientelismo nei confronti dei corpi intermedi, vuoi per diretta collusione con la criminalità, finisce col favorire quest’ultima attuando politiche repressive che garantiscono lo strapotere delle mafie nel campo della droga. In questo modo la criminalità organizzata non viene di fatto toccata nei suoi interessi e i suoi profitti non vengono scalfiti, e la politica cerca di guadagnare da questo stato di cose. Che accontenta tutti, tranne il cittadino. Solo così si può spiegare la ritrosia delle classi dirigenti ad adottare una seria politica di riduzione del danno in chiave antiproibizionista. Gli interessi delle mafie e quelli dei politici arrivano troppo spesso a convergere, e pertanto nessuno è veramente interessato al cambiamento. La situazione è dunque ben più complessa e sfaccettata di una banale contrapposizione ideologica fra persone informate e retrogradi pieni di pregiudizi; come sempre, sono gli interessi materiali a farla da padrone, e le motivazioni ideali il viatico con cui li si rende presentabili.


Fonti: SAHMSA 2008 National Survey on Drug Use & Health; EMCDDA 2010 Annual report on the state of the drugs problem in Europe
http://www.oas.samhsa.gov/nsduh/2k8nsduh/2k8results.cfm
http://www.emcdda.europa.eu/publications/annual-report/2010


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