La povertà trasformata in un crimine negli Stati Uniti

ago 20, 2011 0 comments
Di Barbara Ehrenreich
Fonte: TomDIspatch.com



Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

Ho completato il manoscritto di 'Nickel and Dimed'  [Una paga da fame. Come (non) si arriva alla fine del mese nel paese più ricco del mondo – Feltrinelli, ora riedito, aggiornato, negli Stati Uniti per il decimo anniversario della pubblicazione – n.d.t.] in un’epoca di prosperità apparentemente sconfinata.  Gli innovatori tecnologici e i capitalisti di ventura stavano conseguendo improvvise fortune acquistando ville sfarzose simili a quelle che avevo pulito nel Maine e molto più grandi.  Persino le segretarie di certe società di alta tecnologia si ritrovavano ricche grazie alle loroopzioni azionarie.  C’era un gran parlare della permanente conquista del ciclo economico e un nuovo spirito impudente che infettava il capitalismo statunitense. A San Francisco un cartellone pubblicitario per una ditta di commercio elettronico proclamava “Fate l’amore, non la guerra” e poi, in basso, “ ‘Fancùlo, fate semplicemente soldi”.
Quando 'Nickel and Dimed' fu pubblicato nel maggio 2001, cominciavano ad apparire incrinature nella bolla delle punto.com e il mercato azionario aveva cominciato a vacillare, ma il libro evidentemente arrivò lo stesso come una sorpresa, addirittura una rivelazione per molti. In quel primo anno o due dopo la pubblicazione continuò a rivolgersi a me cominciando con le parole “Non avevo mai pensato …” oppure “Non mi ero reso conto …”
Con mia sorpresa 'Nickel and Dimed'scalò rapidamente la classifica dei campioni di vendite e cominciò a vincere premi.  Nel corso degli anni si sono anche accumulate le critiche. Ma per la maggior parte il libro è stato di gran lunga ricevuto meglio di quanto potessi immaginare, con un impatto esteso ben dentro le classi più agiate.  Una donna mi scrisse dalla Florida per dirmi che, prima di leggerlo, era sempre stata infastidita dai poveri per quella che considerava la loro obesità autoinflitta. Ora capiva che una dieta sana non è sempre una scelta.  E se avessi un quarto di dollaro per ogni persona che mi ha detto che ora dà mance più generose, sarei in grado di avviare la mia personale fondazione.
Cosa ancor più gratificante per me, il libro è stato diffusamente letto da lavoratori a basso reddito. Negli ultimi anni centinaia di persone mi hanno scritto per raccontarmi le loro storie: la madre di un neonato cui era stata appena tagliata l’elettricità, la donna cui era stato appena diagnosticato un cancro e che non aveva assicurazione sanitaria, il nuovo senzatetto che scrive dal computer di una biblioteca.
All’epoca in cui scrissi 'Nickel and Dimed'non ero certa di quante fossero le persone cui si applicasse, solo che la definizione ufficiale di povertà era alquanto fuori bersaglio poiché definiva ben fuori dalla povertà una persona che guadagnasse 7 dollari l’ora, come guadagnavo io in media. Ma tre mesi dopo la pubblicazione del libro, l’Economic Policy Institute [Istituto per la Politica Economica] di Washington, D.C., diffondeva un rapporto intitolato “Stenti in America: la vera storia delle famiglie che lavorano” che rilevava che uno stupefacente 29% delle famiglie statunitensi viveva in quella che poteva essere più ragionevolmente definita povertà, intendendo con ciò che guadagnavano meno di un bilancio all’osso per coprire l’alloggio, la cura dei figli, l’assistenza sanitaria, i trasporti e le tasse anche se non, va notato, qualsiasi svago, pranzo fuori, TV via cavo, Internet, vacanze o regali per le ricorrenze. Il ventinove per cento è una minoranza, ma non limitata in modo rassicurante, e altri studi nei primi anni 2000 sono usciti con cifre simili.
La grande domanda, dieci anni più tardi, è se le cose sono migliorate o peggiorate per quelli che appartengono al terzo inferiore nella distribuzione del reddito, le persone che puliscono le camere degli alberghi, lavorano nei magazzini, lavano i piatti nei ristoranti, si prendono cura dei piccoli e dei vecchi e riforniscono gli scaffali dei nostri supermercati.  Detto in due parole, le cose sono diventate molto peggiori, specialmente a partire dalla crisi economica che è iniziata nel 2008.

La povertà dopo il crollo
Quando leggete delle difficoltà che ho visto la gente sopportare mentre facevo ricerche per il mio libro (i pasti saltati, l’assenza di cure mediche, l’occasionale necessità di dormire in auto o furgoni) dovreste tener conto che ciò avveniva nella migliore delle epoche. L’economia cresceva, e di posti di lavoro, anche se miseramente pagati, ce n’era almeno abbondanza.
Nel 2000 potevo trovare una quantità di posti praticamente di là dalla strada. Meno di un decennio dopo, molti di questi lavori sono scomparsi e c’era competizione dura per quelli rimasti. Mi sarebbe stato impossibile ripetere il “esperimento” di 'Nickel and Dimed',se ne avessi avuta l’intenzione, perché probabilmente non avrei mai trovato lavoro.
Nell’ultimo paio d’anni ho tentato di scoprire cosa stava succedendo ai lavoratori poveri in un’economia in declino, questa volta utilizzando tecniche tradizionali di giornalismo, come le interviste.  Ho iniziato dalla mia stessa famiglia estesa, che comprende un mucchio di persone senza lavoro o assicurazione sanitaria e ho proseguito cercando di rintracciare un paio delle persone che avevo conosciuto lavorando a'Nickel and Dimed'.
Non è stato facile, perché la maggior parte degli indirizzi e dei numeri telefonici che avevo portato con me si sono dimostrati non più validi nel giro di pochi mesi, probabilmente a causa di traslochi o di sospensioni del servizio telefonico. Nel corso degli anni mi ero tenuta in contatto con “Melissa” che lavorava ancora a Wal-Mart dove la sua paga era salita da 7 a 10 dollari l’ora, ma nel frattempo suo marito aveva perso il lavoro. “Caroline”, ora cinquantenne e parzialmente invalida a causa del diabete e di problemi cardiaci, aveva lasciato il marito fannullone e tirava avanti con lavori occasionali di pulizia e catering. Nessuna delle due sembrava eccessivamente afflitta per la recessione, ma solo perché avevano vissuto in quella che corrisponde a una depressione economica permanente.
L’attenzione dei media si è concentrata, abbastanza comprensibilmente, sui “nuovi poveri, già persone della classe media e persino medio-alta che avevano perso il lavoro, la casa e/o i propri investimenti nella crisi finanziaria del 2008 e nel crosso economico che le è seguito, ma il peso maggiore della recessione è stato sopportato dalla classe operaia che era già scivolata in basso dall’inizio della deindustrializzazione negli anni ’80.
Nel 2008 e 2009, ad esempio, la disoccupazione tra gli operai è cresciuta tre volte più rapidamente che tra gliimpiegati e i lavoratori afroamericani e latini hanno avuto probabilità tre volte maggiori di trovarsi disoccupati rispetto ai lavoratori bianchi.  Gli operai a basso reddito, come le persone con le quali ho lavorato in questo libro, sono stati colpiti in modo particolarmente duro per la semplice ragione che avevano un patrimonio e risparmi così limitati su cui far conto alla scomparsa del posto di lavoro.
Come hanno cercato i già poveri di far fronte al peggioramento della propria situazione economica? Un modo ovvio consiste nel tagliare la spesa per la salute.  Il New York Times ha riferito nel 2009 che un terzo degli statunitensi non poteva più permettersi di seguire le proprie prescrizioni e che c’era stata una considerevole caduta dell’utilizzo dell’assistenza medica.  Altri, compresi membri della mia famiglia estesa, hanno rinunciato all’assicurazione sanitaria.
Il cibo è un’altra spesa che si è dimostrata vulnerabile in tempi duri, con i poveri delle campagne che si rivolgono sempre più alle “aste alimentari” che offrono articoli che possono aver superato la data di scadenza per la vendita normale. E per quelli che amano avere la propria carne fresca c’è l’opzione della caccia urbana. A Racine, Wisconsin, un meccanico licenziato cinquantunenne mi ha detto che integrava la sua dieta “sparando a scoiattoli e lepri e consumandoli stufati, arrosto o alla griglia”. A Detroit dove la popolazione degli animali selvatici è cresciuta con la diminuzione di quella umana, un camionista in pensione aveva una vivace attività in carcasse di procione che raccomanda marinate con aceto e spezie.
La strategia più comune per farcela, tuttavia, consiste semplicemente nell’aumentare il numero di persone paganti per metro quadrato di alloggio, raddoppiandole o affittando a chi pratica il coach surfing [‘navigazione sui divani’; viaggiatori che cercano ospitalità informale nelle famiglie]. E’ difficile avere cifre sul sovraffollamento, perché a nessuno piace ammetterlo agli addetti al censimento, ai giornalisti o a chiunque altro possa essere remotamente collegato alle autorità.
A Los Angeles l’esperto immobiliare Peter Dreier afferma che “quelli che hanno perso il lavoro, o quanto meno il loro secondo lavoro, se la cavano raddoppiandosi o triplicandosi in appartamenti superaffollati o pagando il 50, 60 o addirittura 70 per cento del loro reddito in affitto.”  Secondo un organizzatore comunitario a Alexandria, Virginia, l’appartamento standard in un complesso occupato largamente da lavoratori a giornata ha due camere da letto, ciascuna contenente un’intera famiglia con fino a cinque persone, più una persona ulteriore persona che vanta  diritti sul divano.
Nessuno potrebbe definire il suicidio una “strategia per farcela” ma è uno dei modi in cui alcuni hanno reagito alla perdita del lavoro e al debito. Non ci sono statistiche nazionali che colleghino i suicidi ai momenti economicamente difficili, ma la Linea Nazionale per la Prevenzione del Suicidio ha riferito di un aumento di più di quattro volte del numero delle chiamate tra il 2007 e il 2009 e regioni con disoccupazione particolarmente elevata, come Elkhart, nell’Indiana, hanno visto preoccupanti picchi nei tassi dei suicidi.  Il pignoramento è spesso l’innesco del suicidio o, peggio, di omicidi-suicidi che distruggono intere famiglie.

“Torture e abusi contro le famiglie bisognose”
Ovviamente abbiamo in effetti un modo collettivo per attenuare le difficoltà dei singoli e delle famiglie, una rete di sicurezza governativa che è intesa a salvare i poveri dalla caduta a spirale nell’indigenza. Ma la sua reazione all’emergenza economica negli ultimi anni è stata, al meglio, diseguale. Il programma dei buoni alimentari ha risposto piuttosto bene alla crisi, al punto che ora raggiunge circa 37 milioni di persone, circa il 30% in più dei livelli pre-recessione. Ma l’assistenza sociale – la tradizionale ultima risorsa degli spiantati fino a quando fu “riformata” nel 1996 – si è solo ampliata del 6% nei primi due anni della recessione.
La differenza tra i due programmi? Ai buoni alimentari c’è un diritto. Si va all’ufficio e, se si soddisfa la definizione statutaria di stato di necessità, ti aiutano. Per l’assistenza i burocrati al contatto con il pubblicopossono dirti di no, praticamente a propria discrezione.
Si prenda il caso di Kristen e Joe Parente, residenti in Delaware, che hanno sempre immaginato che la gente si rivolga per aiuto al governo solo se “non ha voglia di lavorare”.  I loro guai sono iniziati ben prima della recessione, quando Joe, un idraulico di quarta generazione, ha subito un infortunio alla schiena che lo ha lasciato inadatto a sollevare pesi anche leggeri.  E’ caduto per molti mesi in una profonda depressione e poi ha raccolto le forze per partecipare a un corso di riaddestramento alle riparazioni di computer sponsorizzato dallo stato, solo per scoprire che di tale competenza non vi è più richiesta da molto. L’ovvio ripiego furono i sussidi d’invalidità ma – comma 22 – quando Joe fece domanda gli fu detto che non poteva ottenere il riconoscimento se non presentava una risonanza magnetica recente. Gli sarebbe costata tra gli 800 e 900 dollari che i Parente non avevano; né Joe, diversamente dal resto della famiglia, ha potuto aver titolo a Medicaid.
Quando si erano sposati da adolescenti, l’idea era che Kristen sarebbe rimasta a casa con i bambini. Ma con Joe fuori gioco e tre bambini da mantenere a metà di questo decennio, Kristen è uscita e ha ottenuto lavori da cameriera finendo, nel 2008, in un “posto piuttosto elegante sull’acqua”.  Poi la recessione ha colpito ed è stata licenziata.
Kristen è brillante, graziosa, e, a giudicare dal controllo che ha sulla sua piccola cucina, probabilmente capaci di gestire una dozzina di tavoli con precisione e grazia.  In passato è sempre stata in grado di trovare un nuovo lavoro nel giro di giorni; ora non c’è nulla.  Come il 44% delle persone licenziate all’epoca, non è riuscita a soddisfare le prescrizioni diabolicamente complesse e a volte arbitrarie per aver titolo ai sussidi di disoccupazione.  La loro auto cominciò ad andare a pezzi.
Così i Parente si rivolsero a quello che resta dell’assistenza, la TANF, o Assistenza Temporanea per le Famiglie Bisognose. La TANF non offre sostegno diretto in denaro come Aid to Families [Aiuti alle Famiglie con Figli a Carico] che ha sostituito nel 1996.  E’ un programma di integrazione al reddito per i genitori che lavorano ed è basato sul gioioso presupposto che ci sia sempre un mucchio di posti di lavoro per quelli abbastanza intraprendenti da prenderseli.
Dopo che Kristen ha fatto domanda, non è successo nulla per sei mesi: niente soldi, niente chiamate telefoniche. A scuola, alla classe del figlio di sette anni dei Parente venne chiesto di scrivere quale desiderio avrebbero formulato a un genio, se fosse apparso. Il desiderio di Brianna fu che la madre trovasse un lavoro perché a casa non c’era niente da mangiare, un’aspirazione che la sua insegnante ha ritenuto troppo inquietante per esseremessa sulla parete insieme con le richieste degli altri bambini.
Quando alla fine i Parente hanno avuto accesso al “sistema” e hanno cominciato a ricevere buoni alimentari e un po’ di assistenza in contanti, hanno scoperto perché tanti beneficiari hanno cominciato a chiamare la TANF “Torture e Abusi alle Famiglie Bisognose”. Fin dall’inizio l’esperienza con la TANF è stata “umiliante”, dice Kirsten. Gli assistenti sociali “ti trattano come un pezzente. Agiscono come so ogni dollari che tu ricevi fosse sottratto dal loro assegno paga.”
I Parente hanno scoperto che ci si aspettava da entrambi che facessero 40 domande di lavoro alla settimana, anche se la loro auto era agli ultimi e non veniva offerto denaro per benzina, pedaggi o babysitter. Inoltre Kristen doveva guidare per 35 miglia al giorno per frequentare lezioni di “preparazione al lavoro” offerte da una società privata chiamata Arbor che, dice, erano “francamente una barzelletta”.
A livello nazionale, secondo KaarynGustafson della Scuola di Legge dell’Università del Connecticut “fare domanda di assistenza sociale è parecchio simile a essere schedati dalla polizia”. Ci possono essere foto segnaletiche, rilevamento di impronte digitali e lunghi interrogatori sulla vera paternità dei figli.  Lo scopo apparente è di prevenire le frodi nel settore dell’assistenza, ma l’impatto psicologico risulta essere una trasformazione della povertà stessa in una specie di crimine.

Come la rete di salvaguardia è diventata una rete a strascico
La cosa più sconvolgente che ho appreso nella mia ricerca sul destino dei lavoratori poveri nella recessione è stata la misura in cui la povertà è stata davvero criminalizzata negli Stati Uniti.
Forse i costanti sospetti di uso di droghe e di furti che ho incontrato nei luoghi di lavoro a bassa paga avrebbero dovuto mettermi in guardia riguardo al fatto che, quando si abbandona la relativa sicurezza della classe media, si potrebbe altrettanto bene abbandonare la propria cittadinanza e assumere la residenza in una nazione ostile.
La maggior parte delle città, ad esempio, ha ordinanze decise per cacciare i poveri dalle strade mettendo fuorilegge attività necessarie della vita quotidiana come sedersi, gironzolare, dormire o sdraiarsi. I dirigenti cittadini proclamano che non c’è nulla di discriminatorio in tali norme: “Se ti stendi su un marciapiede, che tu sia un senzatetto o un milionario, violi l’ordinanza”, a dichiarato un legale civico a St. Petersburg, Florida, nel 2009, facendo eco all’osservazione immortale di Anatole France che “la legge, nella suo regale egualitarismo, proibisce ai ricchi proprio come ai poveri di dormire sotto i ponti…”
Nel disprezzo di ogni ragione e compassione, la criminalizzazione della povertà si è in realtà intensificata mentre l’economia indebolita genera ancora altra povertà.  Così conclude un recente studio del Centro Legale Nazionale sulla Povertà e la Mancanza di Alloggio, che rileva che il numero di ordinanze contro i pubblicamente poveri è andato crescendo dal 2006, insieme con le molestie ai poveri per infrazioni più “neutrali” come attraversare fuori dalle strisce, abbandonare immondizie o trasportare un contenitore aperto.
Il rapporto elenca le dieci città statunitensi più “severe” – tra le più grandi vi sono Los Angeles, Atlanta e Orlando – ma nuovi candidati sorgono ogni giorno. In Colorado, il consiglio comunale di Junction’s City, sta prendendo in considerazione una messa al bando dell’accattonaggio; Tempe, Arizona, ha operato un giro di vite di quattro giorni contro gli indigenti a fine giugno.  E come si sa se uno è indigente? Un regolamento di Las Vegas stabilisce che “un indigente è una persona che una ragionevole persona comune riterrebbe abbia titolo a presentare domanda per ricevere” assistenza pubblica.
Potrei essere io prima di aver usato il phon e il trucco per gli occhi, e decisamente lo è Al Szekeley in qualsiasi ora del giorno.  Sessantaduenne brizzolato, vive su una sedia a rotelle e lo si trova spesso sulla G Street a Washington, D.C., la città che è alla fine responsabile delle pallottola che si è preso nella spina dorsale a Phu Bai, Vietnam, nel 1972.
Aveva goduto il lusso di un letto al coperto sino al dicembre 2008, quando la polizia ha perlustrato il ricovero nel mezzo della notte cercando uomini su cui pendevano mandati d’arresto. Venne fuori che Szekeley, che è un sacerdote ordinato e non beve, non fa uso di droghe, non bestemmia davanti alle signore, in effetti ne aveva uno, per “accesso illegale”, come viene definito a volte dalla legge il dormire per strada.  Così è stato portato via dal ricovero e messo in galera.
“Ti immagini?” chiede Eric Sheptock, l’avvocato senzatetto (anch’egli ospite del ricovero) che mi ha presentata a Szekeley. “Arrestano un senzatetto in un ricovero per il fatto di essere senzatetto?”
La brutalità del malanimo ufficiale nei confronti degli indigenti può essere mozzafiato. Pochi anni fa un gruppo chiamato ‘Food no Bombs’ [Cibo, non bombe] cominciò a distribuire gratuitamente cibo vegano a persone affamate nei parchi pubblici della nazione.  Numerose città, guidate da Las Vegas, approvarono ordinanze che vietavano la distribuzione di cibo agli indigenti in luoghi pubblici, portando all’arresto di numerosi vegani bianchi di mezza età.
Una legge contro la distribuzione è stata appena revocata a Orlando, ma la guerra alla generosità illecita continua.  Orlando si sta appellando contro la decisione e Middletown, Connecticut, è nel mezzo di un giro di vite.  Più recentemente Gainesville, Florida, ha cominciato e imporre una norma che limita a 130 persone al giorno il numero di pasti che le mense per i poveri possono servire e  Phoenix, Arizona, ha utilizzato norme urbanistiche per far smettere a una chiesa locale di servire colazioni a persone senzatetto.
Per i non ancora senzatetto vi sono due vie principali alla criminalizzazione e una è il debito.  Chiunque può finire nei debiti, e sebbene noi ci si vanti dell’abolizione della prigione per i debitori, in almeno uno stato, il Texas, chi non possa pagare le multe per cose come i tagliandi di revisione scaduti può essere costretto a “saltare il turno” in prigione.
Più comunemente la via verso la prigione può iniziare quando uno dei tuoi creditori ottiene un mandato di comparizione da tribunale, cui tu non adempi per un motivo o per l’altro, ad esempio perché hai cambiato indirizzo e non lo hai ricevuto.  OK, adesso sei responsabile di “oltraggio alla corte”.
O supponi di aver mancato un pagamento e che l’assicurazione dell’auto scada e di essere poi fermato per qualcosa come un fanale rotto (circa 130 dollari per la sola lampadina).  Ora, a seconda dello stato, ti può essere sequestrata l’auto o puoi subire una multa assurda che, di nuovo, ti espone a una possibile convocazione in tribunale. “Semplicemente non c’è fine alla cosa una volta che il ciclo parte” dice Robert Solomon, della Scuola di Legge di Yale. “Non fa che accelerare.”
Il secondo modo – e di gran lunga il più affidabile – per essere criminalizzati a causa della povertà consiste nell’avere il colore sbagliato della pelle. L’indignazione sale alle stelle quando un professore celebre subisce un profilo razziale, ma intere comunità sono in effetti “profilate” per la sospetta combinazione di essere sia di pelle scura sia povere.  Getta una sigaretta e starai “imbrattando”; indossa la maglietta dal colore sbagliando e starai esibendo la tua appartenenza a una banda. Semplicemente andare a zonzo in un quartiere equivoco può fare di te un potenziale sospetto.  E non irritarti per la cosa perché potresti “resistere all’arresto”.
In quello che divenuto uno schema familiare, il governo toglie fondi ai servizi che potrebbero aiutare i poveri nei rapporti con la polizia.  Si chiudono gli alloggi pubblici e si rende reato il fatto di essere senzatetto.  Non si generano posti di lavoro nel settore pubblico e poi si penalizza la gente se finisce nei debiti. L’esperienza dei poveri, e specialmente dei poveri di colore,finisce per assomigliare a quella di un topo in gabbia che corre in giro per evitare scosse elettriche somministrate a caso.  E se cerchi di sfuggire a questa realtà da incubo con una breve euforia indotta dalla droga, sei “beccato” daccapo, perché ovviamente anche ciò è illegale.
Una conseguenza è il nostro sbalorditivo livello di incarcerazioni, il più alto al mondo. Oggi esattamente lo stesso numero di statunitensi – 2,3 milioni – risiede sia nelle prigioni sia negli alloggi pubblici.  E gli alloggi pubblici che restano sono diventati più simili a prigioni, con perquisizioni casuali della polizia in un crescente numero di città e test antidroga proposti per i residenti.  La rete di salvaguardia, o quel che ne rimane, è stata trasformata in una rete a strascico.
Non è chiaro se le difficoltà economiche alla fine ci costringeranno a interrompere il ciclo folle della povertà e della punizione.  Con il livello di povertà ufficiale che cresce anch’esso – a oltre il 14% nel 2010 – alcuni stati hanno cominciato ad andare più leggeri con la criminalizzazione della povertà, utilizzando sentenze alternative, abbreviando la libertà vigilata e riducendo il numero di persone incarcerate per violazioni tecniche come non essersi presentate a sedute in tribunale.  Ma altri, abbastanza diabolicamente, stanno stringendo la vite: non solo aumentano il numero dei “reati” ma addebitano ai prigionieri vitto e alloggio assicurandosi così che saranno rilasciati con livelli di debito che potenzialmente inducono al crimine.
Dunque qual è la soluzione alla povertà di così tanti lavoratori statunitensi? Dieci anni fa, quando ‘Nickel and Dimed’ uscì per la prima volta, rispondevo spesso con la lista liberale standard dei desideri: paghe minime più alte, assistenza sanitaria universale, case accessibili, buone scuole, trasporti pubblici affidabili e tutte le altre cose che noi, unici tra le nazioni sviluppate, abbiamo trascurato di realizzare.
Oggi la risposta sembra sia più modesta sia più impegnativa: se vogliamo ridurre la povertà dobbiamo smettere di fare le cose che hanno reso povera la gente e la mantengono tale.  Smettere di sottopagare le persone per il lavoro che fanno. Smettere di trattare i lavoratori come potenziali criminali e lasciarli avere il diritto di sindacalizzarsi per paghe e condizioni di lavoro migliori.
Smettere di vessare coloro che si rivolgono al governo per aiuto,altrimenti si trovano per la strada in miseria.  Forse, come così tanti statunitensi sembrano credere oggi,non possiamo permetterci il tipo di programmi pubblici che davvero potrebbero attenuare la povertà, anche se io sosterrei una tesi diversa.  Ma dovremmo almeno decidere, come principio proprio minimo, di smetterla di prendere a calci le persone quando sono a terra.

Barbara Ehrenreich è autrice di numerosi libri, più di recente ‘Bright-Sided: How the Relentless Promotion of Positive Thinking Ha Undermined America’ [Quelli del bicchiere mezzo pieno: come l’incessante propagande del pensiero positivo ha minato l’America]. Il presente saggio è una versione abbreviata di una nuova postfazione al suo bestseller ‘Nickel and Dimed: On (Not) Getting By in America’ Edizione del Decimo Anniversario, appena pubblicata da Picador Books. [La traduzione italiana dell’originale fu pubblicata da Feltrinelli con il titolo ‘Una paga da fame: come (non) si  arriva alla fine del mese nel paese più ricco del mondo’ – n.d.t.].
Estratto da ‘Nickel and Dimed: On (Not) Getting By in America: 10th Anniversary Edition’ pubblicato il 2 agosto da Picador USA. Nuova posftazione © 2011 di Barbara Ehrenreich. Estratto su licenza di Metropolitan Books, un marchio di Henry Holt and Company, LLC. Tutti i diritti riservati.

Questo articolo è comparso originariamente su TomDispatch.com, un blog web del NationInstitute che offre un flusso costante di fonti, notizie e opinioni alternative di Tom Engelhardt, da lungo tempo direttore editoriale, cofondatore dell’American Empire Project, autore di ‘The End of Victory Culture’ [La fine della cultura della vittoria] e di un romanzo ‘The last days of publishing’ [Gli ultimi giorni di pubblicazione]. Il suo ultimo libro è ‘The American Way of War: How Bush’sWarsBecameObama’s (Haymarket Books) [La via americana alla guerra: come le guerre di Bush sono diventate di Obama].



Traduzione di Giuseppe Volpe – namm.giuseppe@virgilio.it 


Da Znet Italy

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