Di Valerio Spositi
Stavolta non sono i soliti “complottisti”, come ormai è
solito definire chi racconta fatti e notizie diverse da quelle trasmesse
come un mantra dal mainstream globale, a dire che l’euro non è stato un
successo. Anzi. La voce che si leva contro la moneta unica viene dal Premio Nobel per l’Economia, nel 2008, Paul Krugman.
Egli in suo articolo sul New York Times dell’11 Novembre 2011, spiega che “questo [la crisi dei debiti europei, ndr] è
il modo in cui l’euro finisce. Non molto tempo fa, i leader europei
insistevano che la Grecia avrebbe potuto e dovuto rimanere nell’euro
mentre pagava interamente il suo debito. Ora, con la caduta dell’Italia
da una rupe, è difficile vedere come l’euro può sopravvivere a tutto
ciò.”
Krugman continua la sua analisi, smontando quella che è la favola dell’enorme spesa pubblica per il welfare state. Infatti, dice il Premio Nobel, “è
vero che tutti i paesi europei hanno più benefici sociali – includendo
l’assistenza sanitaria universale – e una spesa pubblica più alta
dell’America. Ma le nazioni che ora sono in crisi non hanno un welfare
più grande rispetto a quei paesi che invece stanno andando bene. La
Svezia, con i suoi famosissimi benefici sociali, è una grande performer,
ovvero uno dei pochi paesi il cui PIL è ora più alto rispetto a quanto
era prima della crisi. Nel frattempo, prima della crisi, la spesa
sociale – spesa sui programmi di welfare – era stata inferiore rispetto
al reddito nazionale, in tutte le nazioni ora in difficoltà, rispetto
alla Germania, per non parlare della Svezia.”
Questo penso dovrebbe essere sufficiente a smentire le analisi
qualunquistiche che sentiamo spesso quando si parla di spesa sociale,
ovvero pensioni, sanità ecc… come causa assoluta della crisi e che
quindi deve essere tagliata.
“La crisi dell’euro - continua Krugman - non indica nulla sulla sostenibilità dello stato sociale. Ma sarà il caso di stringere la cinghia in un’economia depressa?”
La risposta che da Krugman è in completo disaccordo rispetto a quello che la Troika (FMI, BCE, UE) aveva imposto alla Grecia prima e all’Italia ora, ovvero le misure di austerity.
Krugman infatti spiega che “l’austerità è stata un fallimento
ovunque essa è stata applicata: nessun paese con debiti importanti,
diciamo, è riuscito a tagliarli tornando così nelle grazie dei mercati
finanziari”.
Ed ecco che, infine, il Premio Nobel distrugge completamente il castello del miracolo dell’euro, tanto osannato da Prodi, Padoa-Schioppa ed altri neoliberisti schierati senza problemi nelle file del centro-sinistra.
“Quello che è successo - spiega - è che entrando nell’euro, la Spagna e l’Italia hanno ridotto loro stessi a paesi del Terzo Mondo,
che prendono in prestito la moneta di qualcun’altro, con tutte le
perdite di flessibilità che tale operazione comporta. In particolare,
siccome i paesi dell’area euro non possono stampare moneta neanche in
casi di emergenza, sono soggetti a interruzioni di finanziamenti, a
differenza dei paesi che invece hanno mantenuto la propria moneta. Il
risultato è quello che abbiamo tutti sotto gli occhi.”
A buon intenditor poche parole…
Da Enrico Berlinguer.it
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione