Di Salvatore Antonaci
La notizia non è certo fra quelle più inaspettate, ma
contribuisce senz’altro ad appesantire quel clima di incertezza che
avvolge le sorti presenti e future della moneta unica europea.
Partita con la velleità di affiancare e superare il dollaro come
principale moneta cartacea di riferimento per il commercio e la finanza
globali, la divisa continentale attraversa oggi il momento più difficile
della propria decennale storia.
Comprensibile che in una simile congiuntura, con 5 paesi
praticamente commissariati dalle autorità centrali e un sesto, l’Italia,
avviato verso il medesimo mesto destino, anche altri candidati
all’adesione intensifichino i distinguo per rinviare un passo divenuto
inopinatamente più lungo della gamba. Un po’ come accadrebbe se
veniste a sapere che il party al quale avreste dovuto presenziare,
seppure in lieve ritardo, si fosse trasformato in un cupo ossequio al
capezzale di un moribondo. A dire il vero la commedia degli equivoci tra
l’euro torre e gli stati orientali, ma non solo, va avanti da anni e la
data indicata nei ripetuti colloqui al vertice viene regolarmente
procrastinata. Vuoi per il timore, da parte dei secondi, che un
allargamento affrettato potesse influire su tassi di crescita economica
assai vigorosi vuoi per il terrore, sopraggiunto in seguito, di finire
nella spirale senza fondo della crisi dei debiti sovrani.
E così, nonostantela Slovacchia e l’Estonia si siano decise a
compiere il passo decisivo, i paesi principali di quest’area, ovvero
Polonia e Repubblica Ceca, hanno privilegiato l’attendismo, ma
con un sempre crescente disincanto verso i miracoli dell’unificazione e
la terra promessa descritta dagli apologeti del progetto. A fare la
voce grossa, non più tardi di ieri, il vice-Ministro delle Finanze
polacco, Jacek Dominik, che in una dichiarazione ha rovesciato, per così
dire, l’onere della prova sui bonzi della BCE: aggregarci al carro?
Solo se vi riuscirete capaci di arginare la tempesta in atto. Questa la
brutale sintesi del discorso. E così (almeno fino al 2018) la Poloniasi
terrà il suo zloty, pazienza se svalutato, in grado di trascinare
l’export locale e di garantire buone performances al PIL di
Varsavia, legato a doppio filo alla locomotiva del potente dirimpettaio
tedesco.
Proprio l’atteggiamento tedesco, stretto tra i vincoli dei
patti sottoscritti e l’istinto di sopravvivenza, può aver influito e non
poco sulle esitazioni dei confinanti. Preludio a quelle
ipotesi di Euro “ristretto” o Deutsche Mark allargato di cui vociferano
da un po’ ambienti di solito ben informati? Possibile. Fatto sta che
l’alzata di scudi del governo polacco segue dappresso (poco più di un
anno) un analogo caveat della potente ed indipendente banca centrale,
quasi a riprendere certe perplessità già espresse dalla Bundesbank e
clamorosamente esplose con le dimissioni di Juergen Stark, componente
tedesco nel board della BCE.
Due indizi non fanno una prova, è noto, ma chi si è cullato per anni
nell’illusione che certi processi fossero irreversibili soprattutto
perché a pagarne le conseguenze sarebbero stati sempre gli altri dovrÃ
iniziare a meditare sulla propria sconsideratezza. Ammesso e non
concesso che sia in grado di farlo.
Fonte:l'Indipendenza
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