L’Equitalia europea punta le nostre case

apr 30, 2015 0 comments

Di Ruggiero Capone

European Redemption Fund (Erf) sta per “Fondo di redenzione europeo”. È una sorta di “Equitalia Ue”, garantisce i crediti di banche estere e fondi nei territori dell’Unione europea. L’azione dell’Erf va ben oltre il debito pubblico di ogni singolo Stato, permette che come misura eccezionale gli immobili di ogni singolo cittadino possano passare di proprietà a strutture sovranazionali. L’Erf è quindi uno strumento di “enforcement”, un’esecuzione forzata che l’Italia (come del resto anche la Grecia) ha accettato firmando la cessione di sovranità nazionale. E non serve che un singolo cittadino sia virtuoso e non abbia cumulato debiti, i suoi beni finiranno in caso di fallimento nel calderone Erf al pari di quelli del cattivo pagatore.
In origine il fine era proseguire sulla via della cancellazione della personalità giuridica dei singoli stati Ue, di fatto la Commissione Europea ha costruito una sorta di pilota automatico che costringe gli Stati a rispettare il Fiscal Compact. Ma si tratta anche di un meccanismo che, par far pagare i debiti, arriva a fagocitare i beni (sia pubblici che privati) che insistono su ogni singolo Stato. L’Erf è un superfondo a cui vengono conferiti asset patrimoniali, riserve auree, tasse (ad esempio l’Iva) e, in caso di bisogno, anche le case dei singoli cittadini. Di fatto sul tetto dei cittadini pende una sorta di cambiale in bianco, che verrà incassata laddove lo Stato non dovesse versare le somme necessarie a ridurre il debito, e nella misura pattuita. Questo sta per verificarsi in Grecia e, presumibilmente, potrebbe capitare anche all’Italia. Una sorta di super Equitalia Europea, che ha già in mano i nostri beni e che può già disporne senza alcun limite procedurale. Quando uno Stato fallisce, l’Erf si appropria dei patrimoni (sia pubblici che privati) dello Stato insolvente. Quindi la struttura europea valuta in che misura sia ancora possibile pagare stipendi, servizi e pensioni dello Stato fallito.
Di fatto i patrimoni conferiti all’Erf (pubblici e privati) da ogni singolo Stato rappresentano una contropartita all’emissione di obbligazioni da parte del fondo europeo: gli ormai tristemente famosi Eurobond della Bce, garantiti dalla tripla A dei mercati ricchi nordeuropei. Il “fondo di redenzione” costringe sempre più le nazioni a tagliare la spesa, a dimagrire fino al punto di non poter funzionare.
Siamo di fatto in piena “democrazia finanziaria”, si vota tutti i giorni e nelle borse, ed i “grandi elettori” sono gli stessi che gestiscono i fondi e pilotano l’Erf. Così ai cittadini non viene offerta alcuna possibilità di decidere se l’Erf sia incostituzionale, soprattutto se le cessioni di sovranità non stiano riducendo in una sorta di schiavitù finanziaria i cosiddetti Paesi poveri dell’Ue. Si tratta di atti ostili verso i singoli Stati, buoni a provocarne lo smantellamento.
Ma veniamo ad un esempio concreto (le case in Grecia) che domani potrebbe calzare a pieno anche per l’Italia. Fino a ieri possedere una proprietà in Grecia era cosa molto semplice: senza riguardo alla nazionalità, chiunque poteva diventare proprietario di un immobile. La proprietà in Grecia è sotto la protezione della costituzione greca. Tutti i proprietari di immobili hanno diritti e responsabilità uguali. Ma in Grecia non esiste ancora un catasto completo, è uno Stato meno organizzato dell’Italia. Una “registrazione di terra nazionale” è in corso, ed è iniziata in un raggio di cento chilometri da Atene. Alcune isole hanno fatto delle registrazioni di terreni, in altre zone sono stati registrati solo i carichi ipotecari.
Le costruzioni greche sono state progettate e costruite in conformità con i regolamenti Ue. Soprattutto, esiste una vasta gamma di immobili d’alta qualità. Il valore di un immobile potrebbe calcolarsi secondo apposite stime di zona geografica, già note alle amministrazioni greche. Il valore fiscale (o catastale) è notoriamente più basso del prezzo d'acquisto. Ma nel caso di un fallimento della Grecia (o di altri Stati Ue) gli immobili verrebbero gestiti e venduti da fondi internazionali, e difficilmente potrebbero riacquistarli i cittadini dello Stato fallito. A questo quadro sconfortante va aggiunto che i grandi investitori, coloro che controllano i fondi sovranazionali, hanno già investito sull’incapacità dei greci (come dei cittadini di altri Paesi poveri dell’Ue) di far fronte ai propri debiti. Una vera è propria corsa col tempo per il governo Tsipras che, come asso nella manica, potrebbe sfoderare, oltre al gasdotto gradito a Putin, anche la vendita dei diritti portuali alla Federazione Russa. L’Ue potrebbe ritenere certi atti non validi, poiché non in linea con i trattati firmati dal predecessore di Tsipras, comunque si aprirebbe un precedente importante. Perché i patti leonini con l’Ue si possono mutare solo con atti di forza.


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