I giochi di potere nell'Arabia Saudita e il conflitto nello Yemen

mag 19, 2015 0 comments

Di Il Passatore

Per comprendere cosa accade nello Yemen bisogna osservare e capire ciò che accade in Arabia Saudita e i giochetti di potere di cui ho già trattato su Cenerentola.
Ricapitoliamo brevemente: re Abd Allah muore il 23 gennaio 2015, la successione segue un regime adelfico (di fratello in fratello) e non di padre in figlio come nel resto del mondo, quindi il trono spetta di diritto a Salman che sembra essere gravemente malato1.
A causa della malattia del sovrano il regno di Salman è pesantemente limitato, in quanto sottotraccia si muovono le congiure di palazzo ordite dal principe Muqrin (che re Abd Allah avrebbe voluto come suo successore rompendo la tradizione), da Mohammad Bin Nayef (vero leader militare della casata), ed infine da Mohammad Bin Salam (figlio del re) che di fatto ha preso in mano il ministero della difesa. Mohammad bin Salman mira evidentemente a succedere al padre, il cui regno è previsto come breve, di qui la fretta di affermarsi, necessitando di una investitura che la discendenza non gli garantisce.
Mohammad bin Salman deve dimostrare di avere le qualità di leader, ed è chiaro che una guerra contro gli infedeli sciiti darebbe lustro alla sua posizione, soprattutto in un momento in cui l’Arabia Saudita è completamente accerchiata da realtà ostili.
Passiamole in rassegna:
- l’Oman di fatto ha dichiarato la propria neutralità;
- il Bahrein da anni vive in uno stato di agitazione permanente a causa della politica discriminatoria verso la maggioranza della popolazione di fede sciita2;
- in Kuwait nonostante la politica di apartheid gli sciiti hanno in mano un terzo del parlamento3;
- la dinastia giordana, pur essendo sunnita, ambirebbe a conquistare la carica onorifica (e munifica) di “custode dei luoghi santi” in caso fosse conclamata l’impossibilità della casata al-Saud di adempiere a tale funzione (non va dimenticato che fino al 1928 la dinastia hashemita deteneva tale carica4).
Inoltre non si deve dimenticare la minoranza sciita saudita, che fino ad oggi ha cercato la via diplomatica senza successo con il governo centrale e che potrebbe guardare con favore le milizie sciite irachene che di fatto stanno dimostrando miglior competenza dell’esercito regolare nella guerra all’ISIS5.
Quindi l’Arabia Saudita ha molti nemici e pochissimi amici, fra l’altro interessati: Emirati Arabi Uniti, Egitto e Pakistan. L’Egitto dopo un dispiegamento navale iniziale sembra tirare il freno, mentre il Pakistan ha già dichiarato, dopo un iniziale interessamento nel conflitto, la propria neutralità6, mettendo in difficoltà sauditi ed emirati7 che non hanno mai brillato per coraggio delle loro truppe, a dirla tutta.
Ricordiamo che l’asse Arabia Saudita – Pakistan ha una rilevanza strategica fondamentale per l’area, poiché il Pakistan potrebbe fornire armamenti nucleari alla monarchia wahhabita8. (Ovviamente di tutto ciò si parla il meno possibile: l’Arabia Saudita è alleato dell’occidente, l’Iran no.)
È bene inoltre ricordare che l’Arabia Saudita ha aumentato la spesa bellica del 71%9 in cinque anni ma ha pochissime probabilità di spuntarla contro i ribelli sciiti yemeniti, ritenuti combattenti temibili al pari dei gurka nepalesi: infatti, nonostante i ripetuti bombardamenti, i ribelli sono riusciti ad occupare buona parte della città di Aden e la base militare di Bab el-Mandeb10, una delle più grandi (e fornite di armi) del paese. Infine va ricordato che in Yemen attualmente operano altri tre attori fra loro antagonisti: l’esercito regolare fedele al presidente Hadi, fuggito in Arabia Saudita dopo la caduta di Sana'a11, i miliziani di al-Qaida e quelli dell’ISIS.
Gli USA di fatto se ne stanno lavando le mani, e la promessa di supporto logistico e di intelligence12 Ã¨ rimasta solo sulla carta in quanto fino all’ultimo non sapevano dell’attracco delle due navi cinesi in missione di salvataggio ad Aden13: la progressiva ritirata degli americani da un lato è positiva poiché ne diminuisce il potere vessatorio sui paesi dell’area, ma dall’altro stravolgerà tutti gli equilibri artificiali creati in questi decenni.
In base a quanto detto non deve stupire che la diplomazia internazionale non abbia obiettato più di tanto alla notizia dell’arrivo ad Aden di due navi da guerra iraniane14: se dici Hadi più i finti nemici ISIS e al-Qaida dici Arabia Saudita, se dici ribelli Houthi dici necessariamente Iran. Quando si parla di Iran si parla ovviamente di Israele, che ha ottenuto dall’Arabia Saudita l’apertura del proprio spazio aereo per eventuali azioni contro le installazioni nucleari di Teheran15. (Gli iraniani, dal canto loro, si aspettano un blitz sionista ed è per questo che stanno integrando la propria difesa tattica con i nuovi S-300 di fabbricazione russa16.). Ma si parla anche del pantano siriano, dove l’Arabia Saudita sta creando un asse per defenestrare definitivamente Assad17: non c’è bisogno di dire che ciò equivarrà all’afghanizzazione definitiva ed irreversibile del paese.
Quindi cosa dobbiamo aspettarci? Con ogni probabilità, i ridicoli eserciti saudita e dei paesi del Golfo non riusciranno a schiacciare la resistenza degli Houthi (in caso di invasione di terra sarà un pantano simile al Vietnam per gli americani, loro lo sanno e temporeggiano); al contrario i ribelli sciiti capiscono molto bene che più tempo passa più la situazione rischia di cristallizzarsi in una guerra di posizione logorante che ha già portato a 2.600 il computo ufficiale (e sottostimato) dei morti; da qui la decisione di conquistare i pozzi petroliferi del paese, se non altro per garantirsi l’autosufficienza nel medio periodo18. Inoltre è plausibile che i ribelli sciiti giochino di anticipo: avendo l’ONU approvato una risoluzione con annesse sanzioni contro gli Houthi19 Ã¨ chiaro che non arriverà mai nessun aiuto dalla comunità internazionale (tanto per cambiare), per questo potrebbero decidere di sconfinare nel territorio saudita confidando sull’impreparazione militare dei sauditi ed il loro “indomito coraggio” al fine di creare il caos politico nel paese ed innescare le contraddizioni in seno alla cricca di potere.
Ciò potrebbe significare portare il paese alla scissione in almeno tre entità statuali, esattamente ciò che in questo preciso momento storico non si possono permettere gli israeliani e gli americani, che nel frattempo sono finiti ai ferri corti sul probabile, ma non certo, programma nucleare iraniano20.
Al-Qaida è un network terroristico sovranazionale di gruppi legati fra loro solo da modus operandi ma con visioni politiche non sempre convergenti, l’ISIS come al-Qaida è sovranazionale ma ha un programma politico e geo-politico molto più chiaro, entrambe queste realtà hanno solide radici in Arabia Saudita ed aspettano solo il momento più opportuno per manifestarsi pienamente; e non c’è bisogno di dire che un vuoto di potere sarebbe la condizione ideale per passare all’azione su larga scala.
Ad ogni modo pare che dal 15 aprile le azioni militari saudite si siano fermate o quanto meno rallentate, forse la paura ha fatto novanta, in ogni caso il collasso del paese sarebbe solo rallentato ma non certo scongiurato poiché il regime teocratico non ha mai cercato di affrontare le contraddizioni sociali in modo chiaro: poche decine di famiglie si assicurano la quasi totalità dei proventi del petrolio (unica entrata rilevante del paese), mentre la maggior parte della popolazione vive al limite della sopravvivenza, prigioniera di una società civilmente arcaica ed economicamente medioevale. Senza petrolio il paese sarebbe per reddito non superiore a Ciad o Niger.

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