Il Tantra secondo Evola

lug 20, 2015 0 comments


Di Julius Evola *

Non cronologicamente, ma come contenuto L'uomo come potenza fa, in un certo modo, da anello di
congiunzione fra la fase sistematica speculativa e quella successiva. Vi si trovano residui della prima, ma
nell'essenza si tratta dell’esposizione di dottrine non filosofiche nè accidentali, di quelle indù del tantrismo.







Il sottotitolo della prima edizione era appunto: « I Tantra nella loro metafisica e nei loro metodi di
autorealizzazione magica ». In una certa misura, la stesura del libro fu concordata con la casa editrice «
Atanor ». che contava su di una buona vendita pel carattere suggestivo e nuovo dell'argomento, per cui non
indugiò a pubblicarlo, nel 1927.
Completamente rielaborata, quest'opera è uscita in una seconda edizione nel 1949 presso l'editore Bocca,
con un titolo diverso: Lo Yoga della potenza, e col sottotitolo semplificato: « Saggio sui Tantra ».
Solo in questa seconda edizione ho indicato il luogo proprio dei Tantra nello sviluppo della tradizione
indù. I loro temi elementari riportano al substrato di tradizioni e di culti aborigeni anteriori alla conquista
aria, ad un ciclo di civiltà prevalentemente « ginecocratica », ossia riconoscente in un principio feminile, in
una dea, l'essenza e il potere sovrano dell'universo. Sul piano culturale e mitologico la dea aveva caratteri
sia terrifici e distruttivi, sia luminosi, benefici e materni. Le corrispondenze con le grandi dee di cicli
analoghi del Mediterraneo arcaico sono evidenti. Ma nella simbiosi che fece sèguito alla conquista aria
dell'India questi temi originari subirono una trasposizione metafisica. La dea avendo il carattere essenziale
di Shakti, termine che significa anche «potenza», si giunse alla dottrina secondo la quale la potenza è i:
principio ultimo dell'universo. Da qui il tantrismo,:n quelle sue particolari forme che allora attirarono la mia
attenzione, cioè come Shakti-tantra.
La prima edizione del mio libro si apriva con una sezione soppressa nella seconda edizione, questa
essendo stata elaborata nel periodo in cui ere venuto ad una chiarificazione definitiva di tutti questi
problemi. Essa s'intitolava «Lo spirito dei Tantra in relazione ad Oriente e Occidente» e consisteva in uno «
studio dei rapporti tra spirito orientale e spirito occidentale» inteso a «ben definire il punto di vista dal
quale viene considerata (nel libro) la dottrina degli Shakti-tantra e l'ordine in cui essa potrebbe venire
eventualmente utilizzata per uno sviluppo del valore che immane nell'ultima cultura europea ». In vista di
questo fine, come metodo (per fortuna applicato solo in parte) mi proposi di « tradurre » in termini di
pensiero speculativo quelle basi del sistema orientale che traevano la loro evidenza non da una
speculazione ma da esperienze spirituali e che erano state espresse soprattutto in imagini e simboli; solo
così - dicevo - l'Oriente avrebbe potuto agire creativamente sull'Occidente.
Come si vede, persistevano certe fisime dovute ad una cultura da cui non mi ero ancora del tutto
liberato. Quanto al problema di Oriente ed Occidente, presi in esame le teorie di Hegel, dello Steiner e del
Keyserling sui rapporti fra la visione orientale e la visione occidentale del mondo e fra i cor-rispondenti
ideali. Benché venissero fissati alcuni punti intrinsecamente validi, era già evidente l'inopportunità di
utilizzare scrittori, come lo Steiner e il Keyserling, non meritevoli di essere presi sul serio. Comunque, il
risultato della discussione era l'eliminazione del luogo comune, che tutto l'Oriente avrebbe negato
evasionisticamente il mondo, che l'Occidente l'avrebbe invece affermato e avrebbe proposto l'ideale della
personalità autocosciente e dominatrice. Certo, alcune mie concessioni di allora, in sèguito dovevo ritenerle
del tutto
assurde: così il parlare di un « progresso dello spirito occidentale di là dal pessimismo e dal dualismo
cristiano », con la graduale affermazione prima umanistica e poi immanentistica e attiva dell'uomo, la quale
attenderebbe solo una integrazione per mezzo di un apporto orientale. Ma, a parte queste fisime, restava
valida l'antitesi, da me fissata, fra due ideali fondamentali: fra quello della « liberazione » e quello della «
libertà », con la riserva che se l'India ha soprattutto coltivato il primo, e l'Occidente il secondo, però
proprio il sistema dei Tantra con la sua visione del mondo come potenza contradice ogni abusiva
generalizzazione di tale antitesi e che, quanto alla via di una affermazione trascendente dell'Io, questa è
stata conosciuta in ben più alta misura dall'Oriente, tanto che, nel confronto, è di un « irrealismo » che
devesi parlare nei riguardi dell'uomo occidentale più recente e della sua civiltà dall'apparenza attiva e
affermativa.
Inoltre si sarebbe potuto rilevare come nell'Oriente rientrino anche l'Iran, poi la Cina e il Giappone,
civiltà che in molti loro aspetti non hanno per nulla quei caratteri « evasionistici » che sono riferibili, al
massimo, a certi lati dell'India. Comunque io rilevavo che i Tantra si staccano in modo deciso dalle dottrine
del mondo come illusione di tipo vedantino. Nella Shakti essi hanno visto una specie di « Brahman attivo »
anziché la pura infinità della coscienza. La Maya cede il posto alla Maya-Shakti, cioè al « potere » che si
manifesta e si afferma, come una magia cosmogonica. Esiste inoltre una specie di storiografia tantrica, in
base alla quale questo sistema ha avanzato la pretesa di presentare le verità e le vie adeguate ai tempi ultimi,
all'ultima delle quattro età dell'insegnamento tradizionale, al cosidetto kali-yuga, o «età oscura ». Per via di
un mutamento profondo, in tale epoca le condizioni esistenziali generali sono diverse da quelle delle
origini, in relazione alle quali era stata formulata la sapienza dei Veda. Forze elementari ormai
predominano, l'uomo si trova unito ad esse e non può più ritrarsi; deve affrontarle, dominarle e
trasformarle se desidera la liberazione, anzi la libertà. La via a tanto non può essere quella puramente
intellettuale, ascetico-contemplativa o rituale. La pura conoscenza deve dar luogo all'azione, per cui il
tantrismo ha definito sé stesso come un sadhana-shastra,cioè come un sistema basato sulle tecniche e sullo
sforzo realizzatore. Secondo la sua visuale, la conoscenza deve avere la funzione di uno strumento per la
realizzazione e la trasformazione reale dell'essere. Un testo dice: « Ogni sistema (dottrinale) è un puro
mezzo: non serve se non si conosce ancora la Dea (cioè: se non si è ancora uniti alla Shakti, alla potenza) e
non serve a chi già la conosce ». E in un altro testo è detto: « È da donna affaticarsi a stabilire una
superiorità mediante argomenti discorsivi mentre è da uomo conquistare il mondo con la propria potenza
». Ricorrente è l'analogia con le medicine: la verità delle dottrine deve dimostrarsi coi frutti di esse e non
con dei concetti. Come si vede, qui si tratta di un « Oriente » assolutamente diverso da quello stereotipo
imaginato da molti occidentali. Sono stato il primo a farlo conoscere e a valorizzarlo in Italia, svolgendo
un'opera parallela a quella a cui si era dedicato sir John Woodroffe nell'area di lingua inglese.
In genere, nei Tantra è accentuato un orientamento fondamentale della metafisica orientale, cioè quello
di uno sperimentalismo non ristretto all'esperienza sensibile e empirica. Qui io incontrai proprio
l'ampliamento dell'« esperienza possibile » kantiana che avevo cercato di fondare speculativamente nei libri
di cui ho già detto. A tale riguardo, nell'Uomo come potenza formulai i temi principali della critica alla
conoscenza di tipo scientifico moderno e alla potenza basata sulle sue applicazioni tecniche, dichiarandole
l'una e l'altra, illusorie e irrilevanti: conoscenza e potere ordinati ad un ideale utilitario e democratico, non
basati su nessuna superiorità interiore dell'individuo, su nessuna trasformazione della sua esistenzialità, dei
suoi rapporti reali e diretti col mondo e del suo senso della vita. «Retorica», in senso michelstaedteriano,
della potenza della civiltà moderna: l'uomo resta lo stesso, anzi è « estraniato » più che mai, è una semplice
ombra che ha fuori di sé il proprio principio, anche quando il sapere concentrato sul mondo fisico e
fenomenico gli desse il modo di distruggere un pianeta col semplice premere un pulsante. Sono. questi,
temi che nel periodo successivo di critica alla civiltà dovevo riprendere e sviluppare ma che in quelle
formulazioni del 1927 anticipavano in parte quanto vari pensatori solo successivamente dovevano
riconoscere mancando però dei punti di riferimento positivi atti a dare un vero mordente e un saldo
fondamento a tale critica. Per venire a tanto era ed è infatti necessario riportarsi ad un mondo che esula
completamente dai loro orizzonti.
La letteratura tantrica è assai vasta e pluriforme. Come ho detto, la mia attenzione si era portata
essenzialmente sugli Shakti-tantra, sui Tantra della Potenza, della Shakti. Qui nella
cosidetta c Via della Mano Sinistra », negli ambienti dei Kaula, dei Siddha e dei Vira alla accennata
concezione generale del mondo si univa un superuomismo che avrebbe fatto impallidire Nietzsche. Già
l'Oriente in genere aveva ignorato il feticismo della moralità: su di un piano superiore, per l'Oriente ogni
morale è solo mezzo a fine. Classica è l'imagine buddhista della legge intesa come una zattera che si
costruisce per oltrepassare un corso d'acqua ma che non ci si porta dietro.
Per il Vira, pel tipo « eroico » tantrico, si trattava però di spezzare ogni vincolo, di superare ogni
opposizione di bene e di male, di onore e di onta, di virtù e di colpa. Era la via dell'assoluta anomìa, dello
shvecchacarî, termine che vuol dire « colui la cui legge è la propria volontà ». Qui si proponeva una
interpretazione speciale del simbolo del lavarsi o denudarsi, e anche della « vergine »: la « vergine?, come
volontà pura, sciolta, mediante speciali discipline, da tutto ciò che non è sé stessa, inviolabile e
invulnerabile. Vi erano testi tantrici che indicavano i principali vincoli da infrangere: la pietà, la suscettibilità
ad essere delusi (equanimità di fronte a successo e insuccesso, a felicità e sventura, ecc.), l'onta, il senso del
peccato e il disgusto, tutto ciò che si connette a famiglia e a casta, ogni convenzione e ritualismo, non
facendo eccezione il dominio del sesso (un Kaula, si diceva, non deve indietreggiare nemmeno dinanzi
all'incesto). Dal che appariva quanto poco l'Oriente - un certo Oriente - aveva da imparare dai « liberi
spiriti » e dai « superatori » occidentali: però con la differenza che qui tutto ciò non restava chiuso nella
cerchia di un individualismo anarchico, di un « Unico » stirneriano: era invece ordinato ad un auto
trascendimento effettivo, ovvero lo presupponeva.
In Oriente, e specificatamente nel tantrismo, anche le forme liminali dell'« immanentismo » trovavano
un potenziamento. Mentre in Occidente, date le premesse teistico-cristiane e creaturalistiche, il tema del «
farsi dio » appariva come blasfemo e luciferico, l'identità dell'Io profondo, dell'atma, col Brahman, col
principio assoluto dell'universo, e la corrispondente formula « sono Brahman » o «sono Lui » (so'ham, che
nel tantrismo diveniva sa ham = « sono Lei », cioè Shakti, la potenza) quali verità della via della conoscenza
e della distruzione di quell'« ignoranza », avidya, che essa soia fa credere all'uomo di essere soltanto un
uomo - erano quasi dei luoghi comuni, in un quadro privo di ogni coloratura tenebrosa e titanistica.
In entrambi le edizioni, il mio libro era diviso in due parti principali. La prima era intitolata «La dottrina
della potenza ». Era, questa, la parte metafisica: vi si descriveva il processo e la successione delle fasi, degli
stati e delle modificazioni che, partendo dall'alto, dall'incondizionato, attraverso il mondo degli elementi e
della natura (considerata non soltanto nei suoi aspetti fisici) ha per limite la condizione umana. Uno dei
nomi di tale processo è pravrtti-marga, cioè la via dei vincolarsi, dell'identificarsi a forme e a
determinazioni. Ad esso segue il nivrtti-marga, cioè la via del distacco, della revulsione, della trascendenza,
avente l'uomo come punto di partenza. Con il che, dalla metafisica si passava alla pratica e allo yoga.
Nell'essenza, non diverso era stato lo schema generale della mia fenomenologia dell'Individuo Assoluto.
Quanto alla prima parte del mio libro, credo che lo sforzo di pensare l'insieme delle complesse teorie indù
e tantriche degli elementi - dei tattva - abbia portato ad una intelligibilità della materia di raro presente nelle
esposizioni orientalistiche. Nella corrispondenza che ebbi con lui, si dette perfino il caso che Woodroffe, il
quale aveva trascorso trent'anni in India in contatto diretto con diversi panditi tantrici, riconoscesse la
giustezza di alcune interpretazioni che io proposi.
Quanto alla seconda parte, essa nella prima edizione era intitolata « La tecnica della potenza », nella
seconda « Lo Yoga della potenza ». Forse la prima designazione era più acconcia, lo yoga vero e proprio
costituendo solo una parte della materia, essendo anche considerato un insieme di discipline preparatorie e,
inoltre, il cosidetto « rituale segreto », con forme particolari di sacralizzazione e di trasformazione
dell'esistenza naturalistica e vincolata. Nel campo dello yoga esposi essenzialmente quella sua particolare
forma, considerata come strettamente connessa col tantrismo, che ha il nome di HathaYoga (o Yoga
violento) e di Kundalinî-Yoga. A differenza del Dhyana-Yoga, o Jñana-Yoga, è, questo, uno yoga non
avente un carattere esclusivamente contemplativo e intellettuale. Pur essendo presupposto un adeguato
addestramento psichico e mentale, in esso si tratta di assumere il corpo come base e strumento: però non il
corpo quale è conosciuto dalla anatomia e dalla fisiologia occidentali, bensì il corpo in funzione, anche, di
quelle sue energie più profonde, transbiologiche, di solito non colte dalla coscienza ordinaria, specie da
quella dell'uomo di oggi, corrispondenti agli elementi e alle potenze dell'universo, studiate dalla millenaria
fisiologia iperfisica che in Oriente ha avuto uno sviluppo non meno sistematico dello studio occidentale
dell'organismo umano. Quanto alla designazione « Kundalini-Yoga », essa è indicativa di un metodo che
come forza usata pel fine di decondizionamento dell'essere e della liberazione assume kundalinî, cioè la «
potenza», la Shakti, quale è presente, seppure in forma latente, alla radice dell'organismo psico-fisico.
Circa lo spirito del tantrismo, una sua formula significativa è l'unità di bhoga e di yoga, spiegata come
quella di fruimento (o godimento: enjoyment in inglese - fruimento delle esperienze e delle possibilità offerte
dal mondo all'uomo) e di liberazione o ascesi. Nei testi tantrici si afferma: nelle altre scuole le due cose si
escludono a vicenda: chi fruisce non è un liberato e un asceta e chi è un liberato o un asceta non fruisce.
Non così da noi. « Nella via dei Kaula il fruimento diviene uno yoga perfetto e il mondo stesso si fa il
luogo della liberazione» - aggiungendosi:
«Senza la potenza la liberazione è una mera burla». Si tratta di un paradossale aprirsi al mondo
dell'esperienza e della vita, anche in tutto quel che vi è di più intenso e pericoloso, ma mantenendosi
distaccati. In conclusione, si parla della «trasformazione del veleno in farmaco», cioè dell'uso ai fini della
liberazione e dell'illuminazione di tutte le forze e le esperienze che in ogni altro caso condurrebbero ad un
maggiore vincolamento, a rovina o a perdizione. Così in questo insieme si definisce proprio quell'ideale
non della « liberazione come evasione » ma della libertà reale e immanente che in Occidente è stato
coltivato e in ogni modo proclamato, ma in fondo (in confronto) in forme o astratte, soltanto
intellettualistiche, o degradate, o materializzate e banali.
Nella seconda edizione del libro aggiunsi molto altro materiale: ad esempio, nei riguardi del cosidetto
Vajrayana, del tantrismo buddhista, da me trascurato nella prima edizione, perché quando la compilai poco
ne sapevo. Diversi punti furono ortopedizzati o chiarificati, varie escrescenze « critiche » eliminate, certe
parti notevolmente sviluppate. Ciò vale, ad esempio, pel lungo capitolo della seconda edizione dove si parla
delle pratiche sessuali tantriche, le quali erano già state motivo di scandalo per vari occidentali « spiritualisti
», inclusa la Blawatsky la quale a causa di ciò ebbe a definire il tantrismo come « la peggior specie di magia
nera» (è uno degli esempi di quanto i teosofisti, e poi gli antroposofi, sappiano delle dottrine orientali). In
tale capitolo si trovano già alcune idee fondamentali che io dovevano riprendere e sviluppare in una delle
mie ultime opere, Metafisica del sesso.


* Julius Evola-Il Cammino del Cinabro-pg 33-36

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