Love wins: il matrimonio tra omosessuali e la geopolitica Usa

lug 12, 2015 0 comments
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Di Pasquale Annicchino

È rintracciabile un sostrato geopolitico – seppur indiretto – nella recente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti sul riconoscimento del diritto delle coppie omosessuali a contrarre matrimonio? Probabilmente sì. Un tentativo di comprensione che vada oltre gli aspetti tecnico-giuridici (pure rilevantissimi e che avranno ricadute importanti nel contesto di altre pronunce in casi pendenti in diverse giurisdizioni) appare comunque necessario.



Come per ogni decisione di organi giurisdizionali, possiamo fermarci alla storia della sentenza o sforzarci di inquadrare la Storia alla luce della sentenza.

La decisione della Corte, profondamente divisa sul punto – con i conservatori, a eccezione del giudice Kennedy, in minoranza – rappresenta infatti uno spartiacque fondamentale nella tutela dei diritti civili nell’ordinamento americano e nella proiezione dell’immagine degli Stati Uniti del mondo. Quindi, un veicolo centrale della politica estera statunitense.

Gli Stati Uniti hanno trattato i diritti umani nel contesto della loro politica estera come un menù à la carte, selezionando di volta in volta i diritti sui quali si ritenesse fosse necessario un maggiore impegno per promuovere il loro interesse nazionale. Non era assente da questo approccio una dose di idealismo, ma nelle scelte delle differenti amministrazioni sono sempre state centrali le dinamiche di Realpolitik.

Gli storici del diritto (su tutti Samuel Moyn) illuminano perfettamente questo aspetto: basti pensare all’importanza del diritto di libertà religiosa nel contesto dell’approvazione della Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite, diritto percepito dall’amministrazione statunitense come un importante grimaldello al fine di combattere il comunismo materialista e ateo. O al processo che ha portato alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, vista come l’ultimo appiglio di fronte alla presa del potere dei partiti comunisti in alcuni paesi.

Le dinamiche di politica del diritto degli Stati Uniti hanno sempre provato a rimodulare l’ordinamento per adattarsi alla narrazione che vedeva negli Usa i portatori della “Libertà” e del diritto del mondo. Non sorprende allora che una decisione come quella relativa alla segregazione razziale (Brown v. Board of Education, 1954) sia arrivata proprio nel pieno della lotta contro l’Unione Sovietica. Gli Stati Uniti avevano bisogno di una narrazione di “liberazione” che si potesse esportare e contribuisse a redimere l’immagine statunitense.

Questa analisi può essere applicata anche alla recente decisione della Corte Suprema relativa al riconoscimento del matrimonio tra omosessuali come diritto sancito dalla Costituzione. Il regime di protezione internazionale dei diritti umani vive da anni una costante frammentazione che vede faglie di frattura che sempre più spesso si concentrano sulle scale di valori che hanno influenzato la formazione delle grandi civiltà e delle grandi religioni.

La svolta della Corte Suprema sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, in linea con le posizioni dell’amministrazione Obama, costituisce una virata importante che contribuisce a posizionare gli Stati Uniti sullo scacchiere globale come i difensori dell’individualismo e della libertà di scelta contro altri soggetti internazionali che vorrebbero ancorare i diritti umani a una dimensione più collettiva e a una visione antropologica diversa dall’individualismo libertario.

Due nomi? La Russia di Vladimir Putin, che sulla scia degli insegnamenti della Chiesa ortodossa russa si erge a difensore dei valori tradizionali, e i numerosi paesi di tradizione islamica rappresentati dall’Organizzazione della Conferenza Islamica, che contestano una lettura dei diritti dell’uomo percepita come troppo occidentale e individualista e non attenta alla dimensione collettiva, soprattutto religiosa.

L’amministrazione Obama sta giocando con la solita arguzia questa partita, ponendosi sul piano della narrazione e della “proiezione del potere” come il paese della libertà di scelta (arrivando addirittura a illuminare simbolicamente la Casa Bianca con l’arcobaleno la sera stessa della sentenza), ma non disdegnando sul piano dell’hard power la violazione seriale dei diritti civili, come dimostrano le vicende relative alla National Security Agency. Per questo, è fondamentale non ancorarsi alle semplici narrazioni, ma provare a comprendere come il riposizionamento di interi blocchi geopolitici sarà influenzato da queste vicende.

La questione non potrà essere elusa dai paesi europei, soprattutto quelli latini, sballottati dal loro inquadramento nel blocco occidentale, ma spesso inclini alle sirene eurasiatiche della visione putiniana. La religione, la visione dell’uomo e l’antropologia sono al centro delle scosse telluriche che scuotono ormai costantemente il mondo.

La sentenza della Corte Suprema, seppur indirettamente, ne è solo l’ultimo esempio.

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