Sven Hedin e i misteri del "lago errante" Lop Nor

lug 4, 2015 0 comments



Di Paolo Novaresio
“Da un anno intero io non ho potuto ridere per colpa tua, perché tu mi hai mentito, io non ho avuto nessuna gioia da te, le mie lacrime sono scorse come un fiume. Dio non ha voluto che fossimo amici. Le tue pupille e le tue ciglia sono fra le più belle che esistano”.

Sven Anders Hedin
Sven Anders Hedin
La monotona melodia risuonava da più di un secolo sulle labbra degli abitanti del Lop Nor, il lago errante perduto nel cuore dell’Asia.
Sven Hedin, o He-Dani come lo chiamavano gli indigeni, la trascrisse puntualmente nel suo giornale di viaggio.
Era l’undici giugno del 1899 e la breve estate continentale concedeva notti tiepide e cieli limpidi.
Hedin era partito un anno prima da Stoccolma per la sua seconda grande spedizione in Asia centrale.
Nel primo viaggio l’esploratore svedese si era addentrato nelle sconosciute distese desertiche del Taklamakan, nel cuore del Turkestan orientale.
Inesperto e quasi privo di mezzi, aveva rischiato di morire di sete nel deserto, com’era successo a gran parte dei suoi compagni.
Questa volta invece il suo bagaglio era proporzionato all’impresa: 1130 kg di attrezzature eccellenti, ripartite in ventitré casse e contenenti un letto smontabile, un battello in tela di fabbricazione inglese (pieghevole e così leggero da poter essere trasportato da un uomo solo), quattro macchine fotografiche e un’intera biblioteca.
I viaggi di Sven Hedin in Asia Centrale
Le due spedizioni compiute da Sven Hedin alla fine dell’Ottocento attraversando i deserti del Taklamakan e di Gobi e l’altopiano del Tibet
Non mancavano gli occhiali da ghiaccio: Hedin ne aveva con sé ben cinquantotto paia.
Le scorte di cibo sarebbero state sufficienti per due anni.
Il ricco corredo di strumenti di misurazione dimostrava che il salto di qualità dal tipo di esplorazione classica a quella moderna era ormai un fatto compiuto.
Il nuovo esploratore partiva, infatti, con uno scopo ben preciso, volto alla ricerca scientifica: raccogliere e analizzare dati sui territori attraversati.
Il 19 febbraio 1901 Hedin festeggiava il suo trentaseiesimo compleanno in una zona inesplorata del deserto di Gobi.
Il giorno prima una tremenda bufera di sabbia aveva cancellato ogni traccia e confuso l’orizzonte delle dune.
Gli uomini esausti vagavano alla ricerca di una sorgente, un punto imprecisato, sperduto chissà dove nel micidiale mare di sabbia.
Ancora un giorno, forse poche ore, e i cammelli, da dodici giorni senz’acqua, avrebbero cominciato a morire l’uno dopo l’altro.
E gli uomini non avrebbero tardato a seguire la medesima sorte.
Tuttavia quel giorno Hedin ebbe il più bel regalo di compleanno che a suo dire gli fosse mai capitato: improvvisamente uno dei suoi uomini scivolò per caso su un grande ammasso di ghiaccio.
Era la sorgente, gelata dalle temperature polari di fine inverno, che durante la notte raggiungevano i venti gradi sotto zero.
Hedin distribuì il ghiaccio triturato ai cammelli e ai cavalli sfiniti: i loro occhi, disse, brillavano di contentezza.
Placata la sete, gli uomini scavarono grandi buche che, riempite di brace ardente, vennero poi ricoperte di sabbia.
Sdraiandosi sulla terra calda, era possibile strappare qualche ora di sonno al gelo della notte.
Su quella antica via carovaniera si era probabilmente avventurato, quasi seicento anni prima, Marco Polo.
Ormai l’oasi di Altimisch Bulak era a poche decine di chilometri ma Hedin piegò verso sud, in direzione dell’antico bacino prosciugato del Lop Nor.
Pochi mesi prima, vagando a tentoni in una tempesta di sabbia, uno dei membri della spedizione aveva scoperto per caso le rovine di un antico insediamento urbano.
Hedin presumeva che il fortunoso ritrovamento fosse la chiave per svelare i segreti dell’antica città di Loulan, in passato fiorente centro carovaniero sulle sponde del gran lago.
Ben presto gli scavi diedero i primi risultati: monete cinesi, una lampada in rame, un frammento di legno scolpito a forma di pesce (ciò che testimoniava la passata esistenza dell’acqua).
Ma non bastava, Hedin era testardo: “Queste rovine io voglio costringerle a parlare e non intendo partirmi di qui a mani vuote”, scrisse nel suo diario.
Dalla sabbia emersero i resti di un tempio dedicato a Budda e, infine, la grande scoperta. In una casupola d’argilla, a sessanta centimetri di profondità, Hedin trovò 200 manoscritti e molti bastoncini coperti di caratteri cinesi.
Quei pezzetti di carta consumata dal tempo contenevano la spiegazione del mistero del Lop Nor.
Sven Hedin alla scoperta del Lop Nor, lago migratore
I sinologi russi e tedeschi che in seguito li decifrarono, confermarono che l’intuizione di di Hedin era esatta: la città di Loulan era davvero situata sulle sponde del lago.
Prima della sua distruzione a causa di un’inondazione, nel IV secolo, la città era un importante centro commerciale dell’impero cinese, in cui confluivano le merci (soprattutto grano) che venivano distribuite per tutta la regione.
Hedin si imbatté anche in una ruota, che faceva supporre l’esistenza di una rete carrozzabile.
La scoperta era importante non solo dal punto di vista storico, ma anche da quello geofisico, poiché dimostrava le migrazioni del lago errante, il Lop Nor.
Hedin fece accurate livellazioni della regione, che era assolutamente piatta: misurato su una distanza di trentadue chilometri, il dislivello non era che 11 centimetri.
Proseguendo l’esplorazione Hedin si trovò ben presto in un vero e proprio labirinto di acque.
Il paesaggio era mutato drasticamente, nell’arco di una sola settimana: un nuovo lago di circa 50.000 metri quadrati si era formato per infiltrazione, quasi sotto gli occhi dell’esterrefatto esploratore.
In certi punti l’acqua zampillava fino a un metro di altezza, mista a grosse bolle d’aria.
Il lago si stava progressivamente spostando verso nord.
A sud la sponda si prolungava in depositi di fango, sabbia e piante in putrefazione, mentre a nord il forte vento scavava le superfici asciutte, preparando al lago un nuovo letto.
Così la vegetazione, la vita animale e gli abitanti seguivano il Lop-Nor in queste sue peregrinazioni periodiche.
“In avvenire sarà possibile determinare la lunghezza del periodo di queste oscillazioni; per ora non sappiamo altro di certo che nell’anno 265, ultimo anno di regno dell’imperatore Yuan Tis, il Lop Nor si trovava nella parte settentrionale del deserto”.
Con queste parole Hedin sapeva di aver trasformato una leggenda in una serie di dati scientifici, commensurabili e in certa misura prevedibili.
Gli antichi segreti del Lop Nor erano finalmente stati svelati.
L’ultimo saluto del grande lago fu un vero e proprio uragano di sabbia, il temuto kara-buran.
Per due giorni Hedin fu costretto a rimanere rinchiuso nella sua yurt, la grande tenda mongola adibita a quartier generale.
Alla tremula luce di una lampada cinese l’esploratore aggiornò il suo diario di viaggio con le nuove eccitanti scoperte.
Poi cominciò a organizzare la parte più problematica del viaggio: raggiungere l’altopiano tibetano e penetrare nella misteriosa città santa di Lhasa, preclusa agli stranieri.
Per entrare a Lhasa, Hedin meditava di travestirsi da pellegrino mongolo, con l’aiuto di un autentico Lama incontrato nella città di Urga, che acconsentì ad accompagnare la carovana lungo il pericoloso itinerario. Hedin tentava intanto di imparare il mongolo.
La spedizione lasciò la regione del Lop nel maggio del 1901, in assoluto incognito.
Ma Hedin, nonostante la voluminosa pelliccia gialla e le scarpe a punta rialzata, non riuscì a ingannare le sentinelle tibetane.
Fu fermato e rimandato indietro per ordine personale del Dalai Lama.
La marcia per sottrarsi all’autorità tibetana, verso ovest e il Ladak, fu lunga e piena di patimenti.
L’esploratore scrisse nei suoi appunti: “Quando verso il tramonto il cielo comincia ad offuscarsi ad oriente, mi pare che la notte voglia stendere il suo velo sopra il paese del Dalai Lama e proteggere con le sue tenebre i misteri che racchiude…”
Nel maggio del 1902 la spedizione arrivò a Kashgar, con la primavera al massimo splendore.
Poco più di un mese dopo Hedin rivedeva le coste svedesi.
Le sue peregrinazioni erano durate tre anni e tre giorni.
I granelli di sabbia del Gobi, annotò, “ancor oggi cascano dal mio giornale di viaggio”.

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