Il simbolismo della coppa e il Santo Graal:2° parte

ago 27, 2015 0 comments



Tutto questo va ancora una volta a
sottolineare la fondamentale importanza di un simbolo e il suo carattere universale di
insegnamento, di elemento che mette in corrispondenza tradizioni “diverse fra loro, ma pure
equivalenti... mediante l’elemento universale, metafisico e superstorico del simbolo” (J. Evola).





La coppa è stata tradizionalmente sempre e ovunque legata al significato di contenitore di
sapienza, del vaso che raccoglie tutta la conoscenza spirituale: il Graal contiene in sé tutto il
sapere degli universi creati o, per meglio dire, li rappresenta. È il ricettacolo dell’energia e della
luce divine; disseta colui che viene a bervi e lo nutre quando ha fame; riceve e accoglie il
cavaliere che giunge al termine della sua “queste”, della ricerca. È il simbolo della anima umana
divinizzata, reintegrata nello stato edenico, “olimpico”, che era andato perduto al momento della
sua caduta, della cacciata dal paradiso terrestre; di un’anima che è rientrata in possesso del “senso
dell’eternità” legato indissolubilmente a quello “stato primordiale” la cui restaurazione
“costituisce il primo stadio della vera iniziazione” (Guenon).



Il Santo Graal



 Il doppio significato che la parola
Graal può assumere si riferisce proprio a questo: esso è difatti insieme una coppa, un vaso
(grasale), che designa lo stato primordiale, e un libro (graduale), che rappre-senta la tradizione
primordiale; così come i suoi due custodi, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo prima e Mago
Merlino e re Artù poi, incarnano i due principi tradizionali rappresentanti rispettivamente del
potere sacerdotale e del potere regale. Il Graal diviene così il simbolo della restaurazione di uno
stato eroico in cui le due funzioni, quella sacerdotale e quella regale, tornano ad essere indistinte:
colui che possiede integralmente la Tradizione primordiale, che è giunto al grado di conoscenza
effettiva che tale possesso implica essenzialmente, è , di fatto, proprio per questo reintegrato
nella pienezza dello stato primordiale”. In questo senso si spiga come in alcune versioni i
significati di vaso e di libro divengano una cosa sola: quest’ultimo si trasforma in un’iscrizione
tracciata sulla Santa coppa da un Angelo o dal Cristo stesso, richiamando esplicitamente il
simbolismo apocalittico del libro e dell’acqua della vita. Un altro elemento caratterizzante della
leggenda e degno di profonda attenzione è tutto ciò che viene narrato riguardo l’origine del Santo
Graal: la coppa sarebbe stata intagliata dagli Angeli in uno smeraldo staccatosi dalla fronte di
Lucifero al momento della sua caduta quando, dopo il fallimento della ribellione che aveva
guidato contro Dio, sconfitto, venne scaraventato fuori dal regno dei cieli. Questa pietra richiama
in maniera sorprendente l’urnâ, la sacra pietra che nella tradizione indù occupa sovente il posto
del terzo occhio di Shiva: l’occhio che guarda attraverso il tempo come in un infinito presente e
rappresenta quello che precedentemente abbiamo definito come il “senso dell’eternità”. Il Graal
fu in principio affidato ad Adamo che lo perse a sua volta non potendolo portare con sé al
momento in cui venne cacciato dal Paradiso: la coppa è la rappresentazione del Centro spirituale
dal quale l’uomo si è allontanato, è il “centro dell’essere integrale” che viene meno al momento in
cui, per sua colpa, viene scagliato nella sfera temporale, allontanato dal Paradiso terrestre; da quel
Centro del mondo” assimilabile al cuore divino che è il Centro spirituale supremo. A questa
caduta segue un tentativo di restaurazione compiuto da Seth (o Set), terzo figlio generato da
Adamo ed Eva: a lui, difatti, è consentito di rientrare nel Paradiso terrestre e di recuperare il
prezioso vaso. In questa impresa egli impiegherà quaranta anni, simboleggiando, in questo modo,
la reintegrazione avvenuta al momento in cui egli arriva al completo compimento della sua azione
eroica (il numero 40 ha proprio il significato di reintegrare e ricorre spesso in molte delle
fondamentali narrazioni bibliche, nel Vecchio e nel Nuovo Testamento: riguardo a questo
ricordiamo come esemplificativi esempi il periodo della Pentecoste, della durata di 40 giorni, e
l’esodo del popolo di Israele, che durò 40 anni). Seth è qui una prefigurazione del Redentore, di
Cristo: il suo nome, che esprime il significato di fondamento e di stabilità (ed insieme quello
opposto di rivolta, di rovina) annuncia in qualche modo la restaurazione, almeno parziale,
dell’ordine primordiale che la caduta aveva distrutto: la ricostituzione sulla terra di un Centro
spirituale immagine del Paradiso perduto. Quello che la leggenda non dice è dove il Graal fu
custodito fino all’avvento di Cristo, né come fu assicurata la sua trasmissione: è proprio qui che la
tradizione cristiana e quella celtica hanno il loro punto fondamentale di giunzione. Secondo
quest'ultima infatti i druidi avrebbero avuto il ruolo fondamentale di custodi della Tradizione
primordiale e del Santo Graal: una leggenda narra difatti che furono i Druidi ad istruire il Figlio di
Dio nei venti anni precedenti alla sua predicazione, anni di cui i vangeli non fanno menzione. Ciò,
almeno in parte, spiegherebbe il perché gli elementi simbolici che erano propri al druidismo si
integrino così facilmente, seppure con alcune modificazioni, con il cristianesimo quando erano
invece rimasti completamente estranei e ostili alla conquista romana.
Il Medio evo attendeva l’eroe del Graal e che il capo del Sacro Romano Impero divenisse una
immagine e una manifestazione dello stesso “Re del Mondo”...l’Imperatore invisibile fosse anche
quello manifesto e l’ Età del Mezzo...avesse anche il senso di una Età del Centro...Il centro
invisibile e inviolabile, il sovrano che deve ridestarsi, lo stesso eroe vendicatore e restauratore,
non sono fantasie di un passato morto più o meno romantico, bensì la verità di coloro che oggi,
soli, possono legittimamente chiamarsi viventi.

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