Sulle orme di Nicholas Roerich, alla ricerca della mitica Shambala

ago 30, 2015 0 comments


Di Francesco Lamendola

Archeologo, antropologo, pittore, disegnatore, costumista, scrittore, viaggiatore, diplomatico, conferenziere ed esperto di occultismo: tutto questo, e altro ancora, è stato Nicholas Konstantinovic Roerich: un personaggio che sembra uscito dalla fantasia di un romanziere e i cui dipinti, effettivamente, ricordano un po’ le atmosfere oniriche e vagamente surreali descritte in certi racconti del soprannaturale di H. P. Lovecraft.





Era nato a San Pietroburgo nel 1874 e, incoraggiato dal pittore Mikhail O. Mikhesine, aveva incominciato a dipingere, iscrivendosi poi alla Accademia di Belle Arti. Nello stesso tempo conduceva anche gli studi di legge, per volontà del padre, che era avvocato. Nel 1898 ottenne una cattedra nell’Istituto Imperiale Archeologico; tre anni dopo si sposò con Elena Ivanovna Shaposnikov, nipote del celebre musicista Mussorgskij, che gli diede due figli.
Ai primi del Novecento, Roerich era già una figura di spicco nel mondo culturale della capitale russa, interessandosi a svariate discipline, tra le quali l’archeologia, la pittura, la scenografia. Fra le altre cose, disegnò le scene e i costumi per l’impresario teatrale Serghej Dagilev e per il balletto di Igor Stravinsky La sagra della Primavera.
Membro, dal 1909, dell’Accademia imperiale russa di Belle Arti, nel 1917 fu anche, per un brevissimo periodo, presidente del Comitato di artisti creato dallo scrittore Maksim Gorki, che si riuniva nello storico Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo (ribattezzata nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, Pietrogrado, per ragioni di germanofobia).
Dopo la Rivoluzione di Ottobre, Roerich dapprima trasferì la sua famiglia in Finlandia; poi, nel 1920, decise di accettare l’invito del direttore dell’Istituto d’Arte di Chicago ed emigrò negli Stati Uniti, che divennero la sua seconda patria.
Nel 1923 alcuni suoi ammiratori fondarono il Roerich Museum, che si arricchì di un gran numero di opere dell’artista; mentre egli partiva, insieme alla moglie, per un lungo viaggio nelle regioni più interne e meno conosciute dell’Asia Centrale, visitando l’India, il Sikkim, il Tibet, la Cina e laMongolia.
Nel corso di quel viaggio, come si vedrà nel brano qui sotto riportato, egli si imbatté anche in alcune testimonianze relative alla presenza di Gesù Cristo nella regione dell’Himalaia e, addirittura, nel suo presunto sepolcro, nella città di Srinagar, nel Kashmir, tuttora venerato come quello di un grande santo venuto a predicare dal lontano Occidente. Ma, di questo argomento, avremo occasione di riparlare in una sede più appropriata.
Tornato in America, nel 1928 Roerich fondò un Centro di ricerca per gli studi himalaiani, le cui finalità erano l’approfondimento dell’etnografia e dell’antropologia di quella regione dell’Asia, sulla base del ricco materiale raccolto sul campo.
Nel corso del viaggio in Asia Centrale egli non aveva, peraltro, interrotto la sua attività artistica; si calcola che in quegli anni abbia dipinto non meno di 500 tele, su un totale di circa 7.000 opere realizzate nel corso della sua intera vita. A queste bisogna aggiungere qualcosa come 1.200 testi letterari di vario genere: per cui il corpus della produzione complessiva di questo genio eclettico, sia nell’ambito artistico che in quello scientifico, è veramente enorme e tale da lasciare sbalorditi.
Roerich si era anche notevolmente impegnato a livello umanitario e filantropico, tanto che per ben due volte, nel 1929 e nel 1935, il suo nome era stato fatto quale candidato al Premio Nobel per la Pace.
In particolare, egli si era adoperato affinché le nazioni giungessero a un trattato internazionale che si impegnasse, in caso di guerra, al rispetto dei musei, delle biblioteche, delle cattedrali e delle università, le quali avrebbero dovuto godere di una immunità simile a quella accordata alle strutture sanitarie della Croce Rossa. La cosa giunse a compimento con la stipulazione, nel 1935, del cosiddetto patto Roerich, sottoscritto a Washington dai governi degli Stati Uniti e di una ventina di Paesi latino-americani.
Nicholas Roerich si è spento nel dicembre del 1947 e le sue ceneri sono state sepolte ai piedi dell’Himalaia, in vista delle grandiose montagne che aveva tanto amato, e che aveva ritratto in decine e decine di quadri pervasi da una misteriosa atmosfera di spiritualità e animati da un vivo e suggestivo senso del colore.
Recentemente sono stati tradotti e pubblicati in italiano due volumi di scritti relativi al suo grande viaggio esplorativo fra le montagne e i deserti dell’Asia Centrale, che hanno riproposto i temi ormai «classici» relativi alla mitica Shambala e al regno sotterraneo di Agharti, di cui aveva parlato, a suo tempo, anche il viaggiatore polacco Ferdinand Ossendowski, specialmente nel suo celebre libro Bestie, uomini, dei.
Roerich tratta l’argomento con l’atteggiamento positivo dello studioso di etnologia, ma anche con la passione del mistero che lo ha accompagnato in tutto il corso della sua vita, spingendolo a intraprendere studi di occultismo dei quali non sappiamo molto.
Tutto quello che si può dire con certezza è che il suo maestro di pittura, Kundizi, era anche un iniziato al sapere esoterico e dovette istruire il suo allievo, oltre che nel campo dell’arte, anche in quello delle dottrine occulte; e, inoltre, che in diversi luoghi dell’Asia Centrale, Roerich venne accolto dai monaci buddhisti non come un semplice viaggiatore – curioso ed erudito fin che si vuole, ma pur sempre distaccato – bensì come un maestro di saggezza, degno della massima considerazione.
Scrive, dunque, Nicholas Roerich in Shambala, la risplendente (titolo originale: Shambala: in Search of the New Era, 1930; traduzione italiana di Daniela Muggia, Edizioni Amrita, Torino, 1997, vol. 2, pp. 43-49, passim):
In ogni città, in ogni accampamenti dell’Asia ho cercato di scoprire quali ricordi la memoria popolare custodiva con più ardore. Attraverso questi racconti conservati e preservati, si può riconoscere la realtà del passato (…).
Tra le innumerevoli leggende e fiabe di vari paesi si possono trovare storie che raccontano di tribù perdute e di popoli che vivono all’interno della Terra. Da tutte le parti, e in luoghi diversi e molto lontano gli uni dagli altri, la gente parla di fatti identici. Ma correlandoli fra loro ci si accorge immediatamente che non sono altro che capitoli di un’unica storia. All’inizio sembra impossibile che possa esistere un legame scientifico fra questi mormorii distorti, raccontati alla luce dei fuochi di bivacchi del deserto. Ma in seguito, si comincia a cogliere la bizzarra coincidenza di queste molte leggende, raccontate da popoli che non si conoscono neppure di nome (…).
In Kashmir si racconta della tribù perduta di Israele, certi eruditi rabbini potrebbero spiegarvi che Israele è il nome di coloro che cercano, e che non sta ad indicare una nazione, ma il carattere di un popolo. In rapporto con queste credenze, vi mostreranno, a Srinagar la tomba del grande Issa, Gesù. Potrete sentire la storia dettagliata di come il salvatore fu crocifisso, ma non morì, e di come i suoi discepoli portarono via il corpo dal sepolcro e scomparvero. Si dice che in seguito Issa si sia ripreso, e abbia passato il resto della vita in Kashmir a predicare il Vangelo. Si dice che, da questa tomba sotterranea, emergano vari profumi. A Kashgar, dove la santa madre di Issa si rifugiò dopo la crudele persecuzione subita da suo figlio, vi mostreranno la tomba della Vergine Maria. Ovunque trovate storie diverse di viaggi e spostamenti molto significativi; e a mano a mano che avanzate con la vostra carovana, questo vi procura il massimo piacere e una grande cultura (…).
Ogni imboccatura di grotta suggerisce che qualcuno vi sia già penetrato. Ogni corso d’acqua, soprattutto quelli sotterranei, volge l’immaginazione verso i passaggi sotterranei. In diversi punti dell’Asia Centrale si parla degli Agharti, il popolo dell’interno della Terra. Molte leggende delineano essenzialmente la stessa storia, che racconta come i migliori abbandonarono la terra traditrice, cercando salvezza in contrade nascoste in cui acquisire nuove forze e conquistare potenti energie.
Sui monti Altai, nella bella valle di Uimon, sulle alte terre, un venerabile vecchio credente (Starover) mi disse: «Vi proverrò che la storia dei Chiud, il popolo che vive all’interno della Terra, non è solo frutti dell’immaginazione! Vi condurrò all’ingresso di questo regno sotterraneo».
Sulla strada che attraversa la valle circondata da montagne innevate, il mio ospite ci raccontò molte leggende sui Chud. È notevole che la parola “chud”, in russo, abbia la stessa origine della parola “meraviglia”. Allora, forse potremmo considerare i Chud come una tribù meravigliosa. La mia barbuta guida spiegò:
«Una volta, in questa valle, viveva la potente e fiorente tribù dei Chud. I Chud erano in grado di fare prospezioni minerarie e di ottenere i migliori raccolti. Davvero pacifica e industriosa era questa tribù. Ma un giorno venne uno Zar Bianco, con innumerevoli orde di crudeli guerrieri. I pacifici e industriosi Chud non erano in gradi di opporre resistenza agli assalti dei conquistatori, e siccome non volevano perdere la libertà, rimasero quali servitori dello Zar Bianco. Allora, per la prima volta, crebbe in quella regione una betulla bianca e, secondo le antiche profezie, i Chud capirono che era giunta l’ora di partire. E i Chud, non volendo rimanere sotto il giogo dello Zar Bianco, se ne andarono sottoterra. Solo qualche volta potete udire cantare il sacro popolo; ora le loro campane risuonano nei templi sotterranei. Ma verrà il giorno glorioso della purificazione umana, e, in quei giorni, i grandi Chud riappariranno in tutta la loro gloria».
Così concluse il vecchio credente. Ci avvicinammo a una piccola collina pietrosa e, orgoglioso, egli mi indicò:
«Eccoci: qui c’è l’ingresso del grande regno sotterraneo. Quando i Chud penetrarono dai passaggi sotterranei chiusero l’entrata con le pietre. In questo momento siamo proprio accanto alla sacra entrata».
Ci trovavamo di fronte a un’enorme tomba circondata da grosse pietre, tipica del periodo delle grandi migrazioni. Di tombe di questo genere, con vestigia di reliquie gotiche, ne abbiamo viste nelle steppe della Russia meridionale sui contrafforti del Caucaso settentrionale; e, studiando questa collina, mi ricordai che, attraversando il colle del Karakorum, il mio sais, un ladakhi, mi aveva chiesto:
«Sapete perché le alte terre hanno un aspetto così particolare, da queste parti? Sapete che molti tesori sono nascosti nelle grotte sotterranee e che in esse vive una tribù meravigliosa, che ha orrore dei peccati della terra?».
Quando ci avvicinavamo a Khotan, inoltre, gli zoccoli dei nostri cavalli risuonavano a vuoto, come se stessimo cavalcando sopra alle grotte o a delle cavità. La gente della nostra carovana attirò la nostra attenzione su questo fenomeno, dicendo:
«Sentite che stiamo attraversando un passaggio sotterraneo cavo? Chi conosce bene questi passaggi, può servirsene per raggiungere paesi lontani».
Quando vedevamo l’entrata di una grotta, ci dicevano:
«Molto tempo fa, qui viveva un popolo. Ora, costoro si sono rifugiati nell’interno, hanno trovato un passaggio verso un regno sotterraneo. È ben raro che uno di essi ricompaia sulla terra. Questi personaggi vengono nei nostri bazar con una strana moneta antichissima, tanto che nessuno si ricorda neppure più del tempo in cui questa moneta era in uso dalle nostre parti».
Chiesi loro se ci era possibile vedere questa gente, ed essi risposero:
«Sì, se i vostri pensieri sono in armonia con quelli di questo santo popolo, e se sono altrettanto elevati, perché sulla terra vivono soltanto peccatori, e i più puri e coraggiosi passano a qualcosa di meglio».
Grande è la credenza in questo Regno del popolo che vive all’interno della terra. In tutta l’Asia, attraverso vasti deserti, dal Pacifico agli Urali, potete ascoltare le stesse leggende di un popolo santo, scomparso. E anche più lontano, al di là degli Urali, l’eco di questa stessa storia vi raggiungerà. Spesso si sente parlare di tribù all’interno della terra: a volte si dice che un popolo sacro e invisibile viva dietro una montagna, a volte gas velenosi o rigeneranti si spandono sulla terra, per proteggere qualcuno; a volte si sente dire che le sabbie dei grandi deserti si spostano e, per un attimo, lasciano vedere i tesori negli ingressi dei regni sotterranei. Ma nessuno oserebbe toccarli. Sentirete dire che nelle rocce, nelle catene montuose più deserte, si possono vedere le aperture che portano a questi passaggi sotterranei, e che, un tempo, belle principesse abitavano in questi castelli naturali.
Da lontano si potrebbero scambiare queste aperture per nidi d’aquila, perché tutto ciò che fa parte del popolo sotterraneo è nascosto. Talvolta la Città Santa è sommersa, come nel folclore dei Paesi Bassi e della Svizzera. E questo folclore coincide con vere scoperte nei laghi, e sulle sponde degli oceani e dei mari. In Siberia, Russia, Lituania e Polonia troverete numerose leggende e fiabe sui giganti che vivevano un tempo vivevano in questi paesi ma che, in seguito, non amando i nuovi usi e costumi scomparvero. In queste leggende si possono riconoscere le basi tipiche degli antichi clan: i giganti sono fratelli, e molto spesso le sorelle dei giganti vivono su altre rive dei laghi o dall’altra parte delle montagne; molto spesso essi non desiderano abbandonare il luogo, ma un evento speciale li spinge lontano dalla dimora. Gli uccelli e gli animali sono sempre accanto a questi giganti, e come testimoni li seguono e annunciano la partenza.
Tra le storie delle città sommerse, quella della città di Kerjenetz, nella regione di Ninji Novgorod, è davvero magnifica: questa leggenda ha una tale influenza sulla gente che anche ora, una volta all’anno, molti credenti si raccolgono in processione attorno al lago in cui la città santa fu sommersa. È toccante vedere quanto siano vitali le leggende, vitali quanto i fuochi di bivacco e le torce della stessa processione che echeggia dei santi canti dedicati alla città. Poi, in assoluto silenzio, la gente attende intorno al fuoco di bivacco, e ascolta le campane a festa di chiese invisibili.
Questa processione ricorda la festa sacra del lago Manasarowar nell’Himalaia. La leggenda russa di Kerjenetz risale al periodo del dominio tartaro: sai racconta che quando le orde mongole vittoriose si avvicinarono, l’antica città di Kerjenetz fosse incapace di difendersi; allora tutto il santo popolo di questa città si recò al tempio e pregò per la salvezza. Davanti agli occhi stessi degli impietosi conquistatori, la città sprofondò solennemente nel lago che da allora è considerato sacro. Anche se la città si riferisce all’epoca del giogo tartaro, è possibile distinguere in essa basi molto più antiche, e le tracce dei tipici effetti delle migrazioni.. Questa leggenda non soltanto diede luogo a numerose varianti, ma ispirò anche numerosi compositori e artisti moderni. Tutti si ricordano dalla bella opera di Rimsky-Korsakoff La città di Kitege.

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