Albert Schweitzer, il medico e filosofo che insegnò ad amare tutti gli esseri viventi

set 4, 2015 0 comments



Di Luisella Battaglia
50 anni fa moriva Albert Schweitzer (1875 -1965), medico, teologo, filosofo, insignito nel 1952 del Premio Nobel per la pace, definito da Albert Einstein “il più grande uomo vivente”. Il suo nome, oltre che ad una straordinaria testimonianza esistenziale, è legato ad un’etica, “il rispetto per la vita”, il cui principio è l’amore esteso fino ad una dimensione cosmica. La solidarietà, nella visione di Schweitzer, è infatti il valore fondamentale, un valore che lo spinge giovanissimo a dimettersi dal suo incarico universitario a Strasburgo e a rinunciare ad una brillante carriera di concertista per trasferirsi nell’Africa Equatoriale e fondare a Lambaréné, nel Gabon, un ospedale dove trascorrerà la sua intera esistenza.






Ma il “medico della giungla” – come veniva chiamato – non ferma il suo sguardo alla sola vita umana, alla drammatica situazione di popolazioni afflitte da malattie endemiche, lebbra, febbre gialla, malaria, tubercolosi: spinto da quello che definisce “un pensiero elementare”, costitutivo della nostra stessa natura, frutto insieme della ragione e del sentimento, comincia ad allargare la sua visione all’intero mondo vivente. Già nello scritto Cultura ed etica (1923) delinea una concezione teologica e filosofica complessiva incentrata sul messaggio cristiano che dovrà essere reso comprensibile e concreto incarnandosi nella realtà della storia umana. La creazione – scrive Schweitzer prefigurando temi che troveranno una significativa conferma nella recente enciclica di Papa Francesco – ci è stata affidata per avviare con essa una relazione costruttiva di rispetto e di cura. Per l’uomo veramente etico ogni vita è sacra, inclusa quella che dal punto di vista umano sembra d’ordine inferiore: una volta che abbia scoperto la ‘misteriosa solidarietà’ che esiste con la vita altrui, sarà costretto a confessare che non riesce a definirne i limiti. Comincerà con l’allargare lo stretto cerchio della famiglia per includere prima il clan, poi la tribù, poi la nazione e infine l’umanità.
Ma in questo cerchio in espansione non potrà fermarsi al solo ambito umano giacché sarà portato a riconoscere un legame essenziale con ogni altra creatura. Entrare in un rapporto attivo col mondo significherà sentirsi unito a tutta la vita che entra nel suo raggio d’azione, avvertire dunque il destino di tutte le creature come se fosse il suo, considerare la difesa e la protezione della vita come la più profonda felicità. Schweitzer medico era certo ben consapevole delle difficoltà che una tale etica “sconfinata nel suo dominio e illimitata nelle sue richieste” avrebbe comportato. Come agire nel caso di confitti di doveri inevitabili in cui sono in gioco l’imperativo etico del rispetto per la vita e le necessità inesorabili della sopravvivenza? Si tratta di scelte, talora tragiche che, in presenza del singolo caso e sotto la pressione della necessità, ciascuno dovrà assumere facendo appello alla sua coscienza, tenendo ben presente la propria piena responsabilità per la vita che viene sacrificata e per il valore che essa incarna. Ma ciò che conta è non distogliere lo sguardo, non accontentarsi dell’ovvietà delle risposte aprioristiche e della facilità delle soluzioni predisposte da quell’etica comune che ci fa vivere in una colpevole rassegnazione, dimenticando troppo spesso il peso dell’altrui dolore. “Nessuno dovrebbe starsene tranquillo pensando che altrimenti si mischierebbe in affari che non lo riguardano”. Il rispetto della vita esige infatti da noi una solidarietà che è riconoscimento della fraternità nella sofferenza, di quella vulnerabilità che ci accomuna, al di là delle frontiere delle culture, delle razze e delle specie. E’ su quest’ultimo punto, in particolare, che Schweitzer scrive pagine davvero profetiche denunciando i limiti di una filosofia che “non si decide ad ammettere che il nostro comportamento nei confronti del creato deve costituire una parte integrante dell’etica che essa insegna|…| Non sfuggiamo il peso delle responsabilità. Quando tanti maltrattamenti sono inflitti agli animali, quando le grida degli animali assetati salgono dai vagoni ferroviari senza essere ascoltate, quando v’è tanta crudeltà nei nostri macelli, quando nelle nostre cucine una tale quantità di animali va incontro ad orribile morte per opera di mani inesperte, quando animai agonizzano ignorati per colpa di uomini senza cuore o quando sono destinati a giochi crudeli di bambini, siamo tutti colpevoli e dobbiamo subirne il biasimo.”
Come tutti i grandi inattuali Schweitzer scriveva anche per i tempi futuri. A partire dagli anni 70 un grande risveglio del pensiero filosofico porterà finalmente all’attenzione del più vasto pubblico l’urgenza di una riflessione etica capace di preoccuparsi del destino di tutti gli esseri viventi con i quali entriamo in contatto e di cui, come agenti morali, siamo responsabili.
Pubblicato da Il Secolo XIX

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