Karl Pribram e la teoria olografica del cervello

set 4, 2015 0 comments
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Ecco uno scienziato che, collaborando con Bohm, sostenne le sue avanguardistiche teorie fisiche sulla natura dell’universo e, specificamente, le intuizioni sul funzionamento della mente. La teoria per la quale è più noto, infatti, è proprio il modello olonomico del cervello, corrispettivo del modello olografico dell’universo di Bohm. Come immagazziniamo le informazioni della memoria? Non era nuova nel settore la consapevolezza che i ricordi non si collocavano in una determinata regione, ma si espandevano come dispersi su tutta l’area, almeno così sembrava da dati sperimentali. Come e perché avvenisse non era ancora correlato di spiegazione.





Negli anni venti, infatti, furono condotti esperimenti su delle cavie da laboratorio. Si sezionarono parti del loro cervello asportandole. Il risultato? Tutte le cavie continuavano a mantenere le informazioni di memoria che sembravano essere localizzate nella parte interessata, come se fossero migrate. I ricordi, dunque, non sono collegati a nessuna area specifica del cervello.
Ecco come nasce il modello olografico. Fu Pribram a ipotizzare nel 1960 che le informazioni non risiedessero nei neuroni o in gruppi di neuroni, ma nell’intreccio degli impulsi elettrici celebrali lungo la superficie del cervello. L’esempio che fa è proprio quello dell’ologramma creato allo stesso modo dall’intreccio dei raggi laser.
Una spiegazione abbastanza comoda se si considera sia la mole di informazioni che un cervello umano è in grado di immagazzinare, sino a dieci miliardi; sia che gli ologrammi in un centimetro cubico riescono a riporre miliardi di informazioni grazie a delle minime variazioni degli angoli di intersezione dei laser. Abbastanza comoda anche perché il modo in cui la mente è capace di richiamare istantaneamente sensazioni e ricordi per associazioni la fa sembrare molto simile ad un sistema di correlazione incrociato. Comoda anche perché la mente è un grande traduttore, decodificatore e codificatore, di frequenze in immagini.
Col tempo la teoria sembra ricevere sempre maggiori conferme. Un assoluto assertore dell’infondatezza di questa teoria, Paul Pietsch, sfruttando la capacità delle salamandre di rigenerare parti di cervello e tessuto nervoso, effettuò un esperimento sulle stesse. Asportò alcune sezioni cerebrali e le ricollegò invertendone il posto o ruotandole; a rigore, convintissimo che ciò avrebbe causato scompensi evidenti nel comportamento di questi animali. Il suo obiettivo era localizzare meglio aree definite alla memorizzazione. Disgraziatamente per lui i risultati sembrarono confermare la tesi di Pribram: nessuna delle salamandre alterò minimamente le abitudini di vita. Sostegni giunti anche da altri campi d’indagine come l’esame dei fenomeni acustici su soggetti con un deficit all’apparato in esame condotto da Ugo Zucarelli (dai suoi studi risulta anche che ognuno dei cinque sensi è sensibile ad una varietà di frequenze molto più ampia di quelle immaginate finora a tal punto da poter vedere suoni, percepirne cioè le onde vibrazionali con la vista); la scoperta della sensibilità delle cellule a una vasta gamma di frequenze; l’intercettazione da parte dell’olfatto delle “frequenze osmiche”.
La questione si tramuta in un rivolgimento completo del piano delle scienze. In particolare ad essere ridimensionato è il peso che si riconosce all’esperienza: se l’universo è un’apparenza creata dalle intersezioni di frequenze e la mente un catalizzatore che seleziona frequenze e le intreccia per formare la percezione sensoria, questa percezione è espressione della realtà, ma sempre un’illusione subordinata ad essa. E così non avrebbe valore tanto l’esperienza del macrocosmo, quanto quella matematica e invisibile delle particelle subatomiche. Ma c’è un altro aspetto, dal momento che questa realtà accessoria, olografica, risponde a delle sue leggi fisiche per cui, ritornando al famoso esperimento del gatto, possiamo dire che il gatto non è sia morto che vivo perché non risponde alle leggi dei quanti ma alla meccanica classica, così possiamo dire che il gatto è in una dimensione altra rispetto ai quanti, in un mondo diverso, in una dimensione differente. D’altro canto pensiamo a quanti ologrammi e realtà virtuali possiamo creare con i quanti, come questo testo battuto, visibile attraverso un monitor di pc. Viviamo in un universo che si rispecchia, un universo meta-letterario.
Bibliografia
Karl Pribram, Brain and the Composition of Conscious Experience, in Journal of Consciousness Studies, 1999, n. 5, pp. 19 sgg.
Karl Pribram, Quantum Holography: is it relevant to Brain Function?, Information Sciences, 1999, vol. 115, pp. 97 sgg.
Karl Pribram, Origins: Brain and Self Organization, Lawrence Erlbaum Assoc. Incorporated, 1994
Karl Pribram, Brain and Behaviour, Penguin, Harmondsworth, 1969
Karl Pribram, What makes man human: thirty-ninth James Arthur lecture on the evolution of the human brain, BioMed Central Ltd., 1970
Jakobsen, Brain function, Carterette EC: Berkeley: University of California Press, 1991
Karl Pribram, Rethinking Neural Networks: Quantum Fiels and Biological Data, inProceedings of the First Appalachian Conference on Behavioral Neurodynamics, Lawrence Erlbaum Associates Publishers, Hillsdale, 1993
Karl Pribram, George Miller, Eugene Galanter Plans and Structure of Behavior,  Holt Rinehart and Winston, New York, 1960

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