L'ISIS e la sua religione: una particolare forma del wahhabismo, un'interpretazione estremista dell'Islam fondata dal teologo saudita Abd al-Wahhab

nov 22, 2015 0 comments
Nella foto:Bilal Bosnic, predicatore wahabita bosniaco sostenitore dell'ISIS, http://inserbia.info
Di Marco Romandini
La religione dell’Isis è una particolare forma di wahhabismo, uno scisma nel dibattito teologico interno all’Islam. È la stessa, per intenderci, di Al Qaeda eBoko Haram. Le radici di questa scuola di pensiero affondano nel XVIII secolo, precisamente negli insegnamenti del pastore Abd al-Wahhab che, influenzato dal teologo del XIII secolo Ibn Taymiyya (fautore della jihad e modello dei fondamentalisti), considerava il periodo di permanenza del profeta Maometto a Medina come ideale per la società musulmana.
A quello stile di vita secondo lui bisognava rifarsi, seguendo il Corano alla lettera. Tutto ciò che era arrivato dopo – adorazione di santi, erezioni di lapidi, venerazioni di tombe, festeggiamenti per il compleanno di Maometto – era da considerarsi bid’a, un’innovazione perniciosa contraria agli insegnamenti e quindi proibita. I peccatori, eretici. Questo pensiero diventava funzionaleal tempo per la guerra contro i Mongoli, nel caso di Taymiyya, e contro gli Ottomani in quello di al-Wahaab.
Come il suo predecessore, nel XVIII secolo Abd al-Wahhab esigeva la conformità a queste regole e sosteneva che tutti i musulmani dovessero essere fedeli a un unico leader (il Califfo). Come il suo predecessore, “male sopportava anche tabacco, hashish e il tamburo martellante della nobiltà egiziana che marciava per andare a pregare alla Mecca”, come ha scritto il giornalista Steve Coll del New Yorker. Queste innovazioni erano per lui bid’a, e le adorazioni e le venerazioni soltanto idolatrie copiate dalla Gente del Libro (cristiani ed ebrei), da disprezzare come tutti i misticismi.
Non ebbe all’inizio molta fortuna, anzi fu considerato eretico dalla stragrande maggioranza dei musulmani, perché contrario ad accettare le modifiche dottrinali convalidate da tutta la comunità. La sua condanna verso il comportamento di sufisti e sciiti però si sposava con le idee e gli interessi diMohammed Ibn Saud, un capo del Najd (la regione centrale dell’Arabia Saudita), che iniziò ad adottare quel pensiero e con quel pretesto religioso diede vita a campagne militari nei villaggi vicini.
Le conquiste dell’Arabia continuarono fino a quando i sovrani ottomani non mandarono un esercito egiziano a espellere prima i wahhabiti da MedinaJeddahLa Mecca, poi a distruggere la la capitale saudita Dariyah, ponendo fine al primo regno. I pochi superstiti si ritirarono nel deserto per riorganizzarsi, e lì rimasero tranquilli per la maggior parte del XIX secolo. Il wahhabismo tornò in scena durante la prima guerra mondiale. Un altro capo saudita, Abd al-Aziz, grazie a un esercito di beduini, gli Ikhwan, iniziò infatti a costruirsi un nuovo regno. Questi beduini erano stati indottrinati dai wahhabiti nel deserto e spinti a vivere nelle oasi, perché la vita nomade era considerata incompatibile con l’Islam. A loro era stata insegnata l’agricoltura e l’artigianato, ma soprattutto lajihad.
Sotto l’impulso della jihad wahhabita, gli Ikhwan diventarono estremisti,combattendo principalmente con lance e spade perché rifiutavano armamenti moderni. Grazie al loro aiuto, i sauditi conquistarono di nuovo La Mecca, Medina e Jeddah tra il 1914 e il 1926, ma il loro wahhabismo era diventato così spinto che risultò incontrollabile per lo stesso Abd al-Aziz.
Gli Ikhwan gli rinfacciavano ammodernamenti come telefoni, auto, musica e fumo, ma soprattutto il fatto di porre limiti allajihad quando iniziarono a saccheggiare i protettorati britannici dell’Iraq, della Transgiordania e del Kuwaitcontro la sua volontà.Aziz aveva infatti da poco allacciato relazioni diplomatiche con Gran Bretagna Stati Uniti per far legittimare il suo Stato, e la manovra non piacque molto agli inglesi (un eufemismo: lo bombardarono) .
Si arrivò così alla battaglia di Sabilla del 1929, dove l’esercito del Saud composto da 200 veicoli militari e rafforzato da quattro aerei britannici, massacrò i capi dei rivoltosi e riorganizzò parte di loro nella forza regolare. Il wahhabismo, damovimento jihadista rivoluzionario per la purificazione degli infedeli, si trasformò in un movimento sociale, politico e conservatore per giustificare la fedeltà alla famiglia reale saudita.
Quando si scoprì il petrolio nel Golfo, le cose cambiarono di nuovo. I petrodollari che arrivarono copiosi iniziarono a finanziare costruzioni di moschee e madrasse dove insegnare i precetti wahhabiti. Questa rivoluzione culturale silenziosa, secondo lo studioso francese Gilles Kepel“raggiunge e diffonde il wahhabismo in tutto il mondo, riducendo una moltitudine di voci all’interno della religione a un singolo credo”, sebbene secondo stime ufficiali rimanga ancora una corrente minoritaria nel mondo dell’Islam.
Gli Stati Uniti, interessati a un alleato contro il socialismo di Nasser, il baathismol’influenza iraniana, considerarono l’Arabia Saudita per via della ricchezza, della modernizzazione e dell’influenza, ma non tennero conto del pericolo dei fondamentalisti nella regione, che anzi tornarono comodi per rovesciare l’Unione sovietica in Afghanistan.
È verso la fine degli anni ’70, ma più diffusamente negli anni ’80, che ilwahhabismo si espande inoculando agli studenti musulmani i suoi precetti per trasformarsi nell’unico Islam accettabile. Precetti che tra le altre cose limitavano la libertà e trasformavano lo status della donna. Se però la radice wahhabita li accomuna alla casa dei Saud, che non tollera la definizione preferendo il terminemuwahhidun(credenti nell’unico Dio)si può dire che l’Isis rappresenta una versione radicale ancora più estrema, volta alla jihad. Se da un lato infatti si può definire l’Isis profondamente wahhabita, dall’altro è più giusto vederlo come un movimento correttivo dell’attuale wahhabismo: un wahhabismo delle origini.
Questo movimento è un problema per la stessa casa Saud, che nel frattempo sta cercando una nuova narrativa per la sua ideologia religiosa, perché è fuori controllo come gli Ikhwan e tenta di riformare il progetto wahhbita fuori dallo stato saudita, mettendone così in discussione la legittimità. Questo restando in tema religioso e senza entrare nello specifico dello scenario geopolitico che vede alleanze e opposizioni.
Come Abd al-Wahhab quando si trasferì a Najd ordinò ai suoi sostenitori di seguirlo perché sarebbe stata la sola casa dell’Islam,Al Baghdadi ha invitato infatti i musulmani a unirsi a Is perchéconsidera la legittimazione religiosa limitata al suo Stato. Più che Stato, un principato religioso, uno stato di proselitismo costruito su monoteismo, lealtà, ripudio e jihad.
Per tutti questi motivi storici e religiosi non si può quindi bollare l’Isisgenericamente come islamico, come realtà politica che scaturisce dagli errori occidentali in Medio Oriente (uno sbaglio a prescindere) o come frutto dellamiseria. Certo, questi sono tutti fattori che Isis comprende – attacchi e bombardamenti sul suolo mediorientale non fanno altro che fomentare odio e creare nuovi proseliti (oltre a mettere in pericolo la popolazione), così come i terroristi vengono reclutati tra le frange più povere – ma l’Isis, nato in Iraq nel caos post Saddam Husseinè fondamentalmente la riproposizione in chiave moderna dell’esercito Ikhwan, figlio di un antico scisma collegato ai principi dellajihad. Un movimento che utilizza la pratica del takfir (tacciare di infedeltà) per giustificare la propria lotta armata. E la sua religione è una corrente di pensiero che si è diffusa nel mondo musulmano ma che poco ha a vedere con il resto dell’Islam.

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