Di Mohammed Alkhereiji *
Finalmente, un movimento in attività da 5
anni in Arabia Saudita ha ottenuto un risultato memorabile: lo scorso
25 settembre 15.000 donne hanno firmato e presentato al governo una
petizione che fa appello al re Salman affinché il regno abolisca il
sistema di custodia maschile.
L’attivista saudita Aziza al-Yousef, che
inizialmente aveva provato a consegnare la petizione direttamente al
tribunale competente, ha dichiarato che l’iniziativa mira a che le donne
vengano trattate “come piene cittadine e che venga deciso un’età in cui
la donna è considerata adulta e quindi responsabile delle proprie
azioni”.
Secondo la legge saudita, tutte le donne
devono avere un custode maschio, che sia il padre, il fratello, il
marito o persino il figlio. Ragazze e donne non possono viaggiare,
gestire un’attività o fare determinati esami medici senza il permesso
del loro custode.
L’hashtag #IAmMyOwnGuardian
e #سعوديات_نطالب_باسقاط_الولايه (“Le saudite vogliono l’abolizione del
sistema di custodia”) hanno spopolato sui social per mesi, per primo
Twitter, che in Arabia Saudita conta 2,4 milioni di utenti – il numero
più alto di tutti i paesi della regione.
Anche i giornali negli ultimi mesi hanno
pubblicato numerosi pezzi mettendo in evidenza la questione della
custodia maschile. In un articolo sul quotidiano Al-Jazirah, la
giornalista Nahid Bashatah ha ripreso le parole del presidente della
Società Nazionale per i Diritti Umani, Muflih al-Qahtani, il quale aveva
dichiarato che il sistema della custodia mira a proteggere e aiutare le
donne: “Invito Qahtani a fare visita alle donne in attesa nelle aule
dei nostri tribunali e sentire le dolorose storie delle ingiustizie a
loro inflitte a causa della custodia maschile”, ha scritto la Bashatah.
“Alcuni uomini sono totalmente irresponsabili e immaturi: come possiamo
permettergli di custodire le donne?”, chiede la giornalista.
La questione ha messo in evidenza delle
nette divisioni all’interno dell’establishment religioso saudita.
Il Grand Mufti Abdulaziz al-Sheikh, la maggiore autorità religiosa del
regno, ha definito un “crimine contro l’Islam” la richiesta di
abolizione del sistema di custodia, etichettando l’iniziativa come una
minaccia alla società saudita. Di contro, Sheikh Abdullah al-Manea,
membro del Consiglio degli Ulema, ha dichiarato che il sistema di
custodia è applicabile solo a questioni legate al matrimonio,
sottolineando il fatto che le donne sono capaci di gestire da sole i
loro affari. “La donna gode degli stessi diritti dell’uomo”, ha detto
Manea.
Il governo non ha fatto commenti sulla
petizione, ma la popolazione femminile resta ottimista: “Quanti di noi
hanno seguito il movimento negli ultimi cinque anni, e sopratutto la
petizione nelle ultime settimane, sapevano che si trattava di un
passaggio naturale e prevedibile”, ha dichiarato Jasmine Bager,
giornalista saudita che vive a New York. La Bager ricorda che, anni fa,
il governo aveva ufficialmente dichiarato che avrebbe rimosso il sistema
di custodia entro il 2013: “Il defunto re Abdullah aveva detto che
sperava di vedere sua figlia guidare un giorno, quindi c’è sempre stato
del sostegno da parte di diversi uomini al potere. È solo una questione
di tempo”, aggiunge la Bager, che conclude: “Gli arabi sono famosi per
essere elegantemente in ritardo, ma non sottovalutiamo l’Arabia Saudita.
Ci arriverà”.
* Mohammed Alkhereiji è editore della sezione “Golfo” di The Arab Weekly
Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo per Arab Press
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