L'ultima sfida di Hariri: "Ritiro le dimissioni in cambio della neutralità del Libano"

nov 13, 2017 0 comments
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Di Umberto De Giovannangeli
Teso in volto, visibilmente scosso, da Riyadh, dove è "custodito" da giorni, Saad Hariri prova a rimettere assieme i cocci di una crisi politica iniziata con le sue improvvise dimissioni da primo ministro del LibanoLa conferenza stampa va letta in una duplice chiave: per ciò che voleva rappresentare e per i suoi contenuti. Hariri parla, in apparenza liberamente, e questa è la risposta a quanti, dentro e fuori il Paese dei Cedri, hanno parlato e scritto di un ex premier "prigioniero" dei sauditi. Che sia libero è da dimostrare, che sia un uomo provato è la realtà delle immagini che mostrano il quarantenne ex premier, normalmente spigliato e brillante, incerto nell'esprimersi, lo sguardo a volte perso nel vuoto.
"Nei prossimi giorni rientrerò in patria", promette Hariri. Da uomo libero, aggiunge. E visto che il capo dello Stato, Michel Aoun, non ha accettato le sue dimissioni in attesa di incontrarlo al palazzo presidenziale, Hariri si comporta da primo ministro, leader della Coalizione (sunnita) 8 Marzo, e da Riyadh detta il suo programma per un nuovo esecutivo da lui guidato. La prima, significativa novità: Hariri non esclude di formare un governo con dentro ministri di Hezbollah, anzi rivendica l'esperienza condotta, in nome dell'unità del Libano. La difende fino a un certo punto. Fino a quando, cioè, il Partito di Dio sciita non è voluto diventare un attore regionale. In questo passaggio, si consuma la rottura e la crisi libanese s'inquadra pienamente nello scontro in atto sullo scacchiere regionale che vede contrapposti l'Arabia Saudita e l'Iran.
Il punto chiave del sofferto discorso di Hariri è nella condizione da lui posta per provare a rincollare i cocci di una crisi che da politica potrebbe diventare militare. La condizione non negoziabile, afferma, è che il Libano sia "neutrale" nello scontro in atto nella regione. E oggi, rimarca il premier dimissionario, il Libano neutrale non lo è, e la dimostrazione concreta è nella presenza sul campo di battaglia siriana dei miliziani di Hassan Nasrallah.
Prendere o lasciare: una praticata neutralità in cambio di una sua disponibilità a formare un nuovo governo di coalizione. Se mi sono dimesso, spiega Hariri, è per "preservare l'interesse del Libano"; un interesse che oggi, aggiunge, "non coincide con l'interesse di Hezbollah". E spiega che il partito di Nasrallah "da diverso tempo è più interessato alle vicende regionali che a quelle del Libano, e più volte e a più persone in questi ultimi mesi ho espresso le mie preoccupazioni". E una di queste persone, dice, è il presidente (cristiano maronita) Aoun, eletto con il sostegno di Hezbollah.
È un discorso abile, quello di Hariri, attento a non scontentare i "custodi" sauditi ma al tempo stesso a non rompere il tenue filo di dialogo con Nasrallah. Il premier dimissionario denuncia di nuovo l'ingerenza dell'Iran che, secondo lui, "rappresenta un peso, una minaccia per i libanesi", riconoscendo, di più, rivendicando l'aver portato Hezbollah a sporcarsi le mani con responsabilità di governo. "Sono fiero – dice – del compromesso che noi abbiamo trovato in Libano, che è andato avanti per sei anni e che ha dato importanti risultati. Io – sottolinea – non sono contro Hezbollah o contro altri partiti politici, io sono contro il fatto che Hezbollah giochi un ruolo esterno e metta il Libano in pericolo". Un pericolo immanente.
Che il Libano possa trasformarsi in un nuovo fronte di guerra, dopo Siria, Iraq e Yemen, più che una ipotesi è una quasi certezza. Un fronte per certi versi ancora più esplosivo perché a scendere in campo, in questo caso, sarà anche Israele. E stavolta, a differenza dell'estate 2006, Israele, come hanno ripetuto a più riprese il premier Netanyahu e i suoi ministri, non farà differenza alcuna tra le milizie di Hezbollah e l'esercito libanese. Stavolta, avverte Israele, la guerra sarà con il Libano e non (solo) con Hezbollah.
Annota in proposito Daniel B. Shapiro, dell'Istituto per gli studi di sicurezza nazionale di Tel Aviv, in un articolo su Haaretz: "Israele si prepara dal 2006 ad una nuova guerra con Hezbollah – rimarca Shapiro - La crescente influenza di Teheran in tutta la regione rende chiaro che, anche più dell'ultimo conflitto, sarà una lotta per eliminare la minaccia iraniana dai confini a Nord del Paese. Israele e Arabia Saudita sono completamente allineati in questo conflitto regionale". La partita libanese non è ancora ai supplementari. Il "secondo tempo" lo aprirà Hariri: l'ex premier annuncia, infatti, di voler avviare consultazioni con i partiti politici per tentare di tirar fuori il Libano dalle ingerenze esterne. "Il Libano non può restare ingabbiato in questa situazione – insiste Hariri – e io non permetterò che una guerra sia scatenata contro il Libano". L'ex premier non vuole entrare in rotta di collisione col presidente libanese, che pure non ama politicamente e da lui è ricambiato con la stessa moneta. "Malgrado le nostre differenze – annota Hariri – noi siamo d'accordo su diversi punti. Noi dobbiamo insistere sulla neutralità del Libano per evitare di entrare nei conflitti regionali". Non rompe con Aoun (che si dichiara "ottimista" dopo le parole del premier dimissionario), Hariri, ma al capo dello Stato libanese chiede di aprire un confronto sulla questione, esplosiva, delle armi di Hezbollah. Un punto dolente, che Hariri ripropone oggi argomentando così: "La questione di Hezbollah non concerne unicamente il Libano, ma l'intera regione. Ed è per questo che è importante avviare un serio dialogo interno che abbia come fine proteggere il nostro Paese", ma perché il dialogo sia davvero serio "deve essere trovata soluzione alla questione delle milizie armate di Hezbollah".
Hariri sa bene - perché dalla custodia dorata saudita ha potuto leggere i giornali, ricevere agenzie, vedere le uscite televisive di Nasrallah - di dover ribattere all'accusa di essere uno strumento in mano saudita. La miglior difesa è l'attacco. Fedele a questo assunto, Hariri parte lancia in resta e afferma: "L'Arabia ama Beirut, ma il punto è che Beirut sembra non amare più Riyadh. Se c'è una parte del Libano (Hezbollah, ndr) che intende destabilizzare la sicurezza del Golfo, come può il Golfo continuare ad amarci?", aggiungendo che l'Arabia Saudita non aveva mai espresso una posizione ostile a Hezbollah "prima della guerra in Yemen".

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